Spero che non vi sia sfuggito il nome di questo chitarrista indonesiano,
che col disco precedente, uscito in questo stesso anno, mi aveva emozionato
parecchio. Budjana è in piena ondata creativa e sta cercando
di far conoscere la propria arte al mondo e lo sta facendo col contributo
di prestigiosi musicisti in campo fusion e jazz, a gennaio del prossimo
anno dovrebbe infatti uscire un nuovo disco con Jimmy Johnson al basso
e Vinnie Colaiuta alla batteria, giusto per farvi venire un po’
di acquolina, ma torniamo al presente. Joged Kahyangan (che si può
tradurre come Paradiso Danzante) è stato registrato in un solo
giorno in presa diretta, quasi fosse un live insieme a Larry Goldings
(John Scotfield, James Taylor) alle tastiere, Bob Mintzer (Yellowjackets,
Miles Davis) ai fiati, Jimmy Johnson (Allan Holdsworth) al basso e
Peter Erskine (Weather Report) alla batteria, mentre la cantante Janis
Siegel arricchisce un brano.
Le note gentili di “Foggy Cloud” fanno da benvenuto all’ascolto
dell’album, un brano che pian piano prende vigore a favore di
una fusion coinvolgente, notevole gli assoli di chitarra e di tastiere,
Dewa riesce davvero ad emozionare col suo tocco, poi segue l’assolo
toccante di Mintzer. La title track è incantevole, contiene
in se tutta la filosofia religiosa Indù, di cui Budjana è
un seguace, l’idea di bellezza come via di perfezione è
esaltata da un fraseggio musicale a tratti sorprendente, il finale
del pezzo è esuberante. “Dang Hyang Story” è
abbastanza epica, il terreno è sempre pienamente inserito nella
fusion, si resta sempre colpiti dai contributi di ogni musicista coinvolto
nel disco, che lavoro il batterista, anche in questo caso il finale
è un’apoteosi musicale. “As You Leave My Nest”
è l’unica canzone cantata, Janis è una cantante
molto impostata, l’impronta jazz si fa sentire parecchio, il
brano è fortemente romantico, forse un po’ all’antica,
ma è molto bello. “Majik Blue” è il primo
brano che osa suoni duri e corposi e i brividi scorrono a fiumi, per
la mia sensibilità e formazione è uno dei brani più
coinvolgenti del disco. Con “Erskoman” si torna ad una
fusion più canonica, ma sempre molto raffinata ed emozionale.
Stesso discorso per “Guru Mandala”, anche se il brano
risente molto della musica tradizionale di provenienza di Dewa, creando
un mix molto intrigante, che trovo molto coinvolgente. Infine “Borra’s
Ballad” è una piece con chitarra acustica che ci permette
di ascoltare tutta la sensibilità del nostro, che anche in
questa veste si dimostra musicista dalla grande sensibilità.
Più ascolto Dewa e più mi viene voglia di conoscere
anche gli altri suoi lavori e pensare che viene dal pop e che con
i suoi Gigi ha realizzato circa venti album ed ha suonato in stadi
pieni di gente, ma questa sembra la sua dimensione più vera
e spero che continui su questa strada ancora a lungo. GB
Altre recensioni: Dawai
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