L’ugola
più fantasy/medioevale del metal ha alle spalle una lunga e
onorata carriera a partire dai bluseggianti Elf, passando poi per
i Rainbow, per i Black Sabbath, per poi arrivare a una lunga carriera
solista. Questa è la ristampa del settimo album in studio del
folletto uscito dieci anni orsono. Con una nuova formazione il nostro
ha cercato di risollevare una discografia in affanno, non erano certo
anni favorevoli al metal classico quelli, e il disco sente del travaglio
creativo del nostro. Una carriera illuminata più dalla voce
potente e graffiante, unica, di Ronnie, che non da risultati artistici
degni di nota.
Tenuto conto di quanto sopra non sorprende l’iniziale “Institutional
Man”, che ricorda un mix fra i vecchi Sabbath e certe spinte
moderniste, i ritmi sono complessi e articolati e uniscono ad un riffing
molto doom un tocco progressive. “Don’t Tell the Kids”
è più classico metal, sempre con un approccio modernista
nei suoni (stiamo parlano di dieci anni fa), è un brano “arrabbiato”,
in linea con il titolo dell’album. A questo punto arriva uno
dei brani più criticati del disco: “Black”, in
realtà Ronnie in quest’occasione ha copiato di sana pianta
lo stile funkeggiante di Glenn Hughes e con risultati per niente convincenti.
“Hunter of the Heart” è un mid tempo che riporta
al classico repertorio molto epic di inizio carriera. “Stay
Out of My Mind” ci propone un altro brano rallentato e vagamente
psych/doom, ottima interpretazione drammatica. “Bad Sister”
è sostenuta inizialmente da un riffing stoppato poco coinvolgente,
mentre non male il refrain ancora sabbatiano, pian piano il brano
propone un crescendo e il coinvolgimento aumenta. “Double Monday”
è ancora in bilico tra epic e metal moderno, niente di nuovo,
niente da segnalare. È sempre più chiaro che Dio è
sempre più in cerca di una nuova identità, che comunque
tenga conto del suo passato. L’impressione è confermata
in “Golden Rules”, un riempitivo trascurabile. Interlocutoria
e rabbiosa è anche “Dying in America”. Chiude “This
is Your Life”, una ballad romantica con tanto di pianoforte
e orchestrazione, Ronnie ci delizia con un’altra grande interpretazione,
ma non è certo una canzone memorabile.
In definitiva Angry Machines è un titolo che piacerà
ai die hard fans di Ronnie James Dio, ma non è certo l’album
consigliato a chi vuole cominciare a conoscere una delle ugole più
importanti del pianeta metal. GB
Altre recensioni: Dio's Inferno The Last in Live;
Dio At Donnington UK
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