Questo
è il classico disco Progressive che un fans del genere vuole
ascoltare. I Flamborough Head sono un quintetto capitanato dal tastierista
Edo Spanninga e suonano un Rock misto fra Genesis (anche periodo “Wind
& Wuthering”), IQ e tutto quel che riguarda il movimento
dell’area scandinava. Il gruppo è Olandese e gioca molto
sul connubio fra le tastiere di Edo , le chitarre di Eddie Mulder,
il fauto e la voce della brava Margriet Boomsma. “Tales Of Imperfection”
è il loro quinto disco da studio e li consacra fra i gruppi
più interessanti del genere al giorno d’oggi.
Dopo l’introduttiva e strumentale “For Starters”
ci addentriamo dentro le velate armonie della mini suite di undici
minuti dal titolo “Maureen”. In essa aleggiano armonie
gradevoli, fra cui rimane impressa quella supportata dal pianoforte
alla Tony Banks periodo anni ’70. La chitarra suona come quella
di Hackett, e certi passaggi sono scuola IQ, il risultato complessivo
è decisamente grandioso, personalmente mi ricorda certi affreschi
sonori dipinti dal gruppo australiano Sebastian Hardie. La stessa
sensazione è confermata nella successiva “Higher Ground”,
uno strumentale dall’antico profumo anni ’70. Non da meno
è l’attenta ritmica del duo Marcel Derix (Basso) e Koen
Roozen (batteria), il tutto sembra perfetto, così come il songwriting,
mai ripetitivo e concentrato sui cambi di tempo, come il genere ci
insegna. Apre una chitarra alla Gilmour in “Silent Stranger”,
ancora una volta il flauto di Margriet ci delizia con la sua presenza
ricordando a volte certi passaggi cari ai svedesi Sinkadus. Il suono
sembra spaziare in ambienti bucolici ed il piano di Edo fa anche il
verso a “The Carpet Crawl” dei Genesis. E’ semplicemente
fantastico ascoltare il connubio chitarra elettrica e pianoforte nel
mezzo del brano, uno dei momenti più ricchi di pathos dell’intero
lavoro.
Ancora melodie toccanti in “Captive Of fate”, i Flamborough
Head questa volta puntano anche nel ritornello e nei cori, tutti e
due di facile presa emozionale. Il brano è totalmente acustico,
come quelli fatti dai Mostly Autumn. Gli otto minuti della strumentale
“Mantova” invece riportano a noi certi passaggi alla IQ
primo periodo e ci mostrano il gruppo in grande spolvero. Si chiude
con la breve e struggente “Year After Year” un disco che
certamente non verrà ricordato nel tempo come capolavoro, ma
che sa emozionare più di moltissime altre produzioni odierne.
Gli olandesi si mostrano punta di diamante della loro nazione in ambito
Progressive e sono sicuro che sapranno stupirci ancora e sempre di
più, non trascuriamoli. MS
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Intervista
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