Ci siamo già occupati diverse volte del talentuoso chitarrista
Robin George, un artista che ha dato vita a numerose collaborazioni,
anche se il suo nome forse non è ancora abbastanza conosciuto
nel nostro paese, ma che non ha raccolto nemmeno in patria per quanto
il suo talento ha espresso. Non voglio soffermarmi troppo in cenni
biografici in quanto li potete trovare in altre recensioni, piuttosto
voglio ricordare che in questo disco troviamo la collaborazione del
batterista Dave Holland (Trapeze, Judas Priest), del tastierista Daniel
Boone, che ha all’attivo due hit singles nei primi settanta
e che ha fatto conoscere George a David Byron (Uriah Heep), poi c’è
il giovanissimo Pino Palladino (the Who, Paul Simon), in un brano
suona niente meno che il compianto Phil Lynott, poi al sax troviamo
Mel Collins (King Crimson) e diversi altri che ruotavano attorno ai
Trapeze, infatti se Holland non fosse entrato nei Judas, forse insieme
a George avrebbe dato continuità alla band.
Il materiale qui proposto è stato composto tra il ’79
e i primi anni ’80, hard rock melodico di prim’ordine,
dal grande potenziale radiofonico e forse è proprio per questo
che il nostro non ha raccolto per quanto seminato, i tempi non erano
quelli giusti per queste sonorità, nel pop imperversava l’elettronica,
mentre nel rock si stava spingendo sull’acceleratore del metal
più intransigente e così questo disco ha dovuto aspettare
tutto questo tempo per vedere la luce.
Le danze si aprono con la scoppiettante title track, che presenta
subito un bel giro di chitarra, è subito hard rock melodico
pieno di vita, con belle melodie e con una struttura decisamente originale,
George ha un modo davvero interessante di costruire i brani. “Too
Late”, “Heartline” e “Go Down Fighting”
sono ottimi esempi di hard melodico, le costruzioni sono ardite, ricercate
e spesso gli arrangiamenti sono davvero raffinati. In “Showdown”
troviamo il contributo di Lynott (George aveva suonato sul suo disco
Nineteen), si sente il suo impulso, brano grintoso ed energico dominato
da ritmi spesso inattesi, con controtempi e variazioni che non erano
certo tipici dell’hard melodico più convenzionale. Ognuno
dei quattordici brani che compongono questo disco ha qualcosa da dire,
non ce n’è uno che sia sotto la media, anche se qualche
volta si sente che si tratta di materiale datato, ma in fondo questo
genera più fascino.
George è un artista da scoprire e riscoprire, gli amanti dell’hard
rock melodico non devono assolutamente sottovalutarlo. GB
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