Il nord non smette di sorprenderci e di presentarci nuove formazioni
piene di talento, capaci di scrivere grandi pagine di musica, questa
volta è il turno dei finlandesi Overhead che ci propongono
il loro secondo album dopo l’esordio Zumanthum del 2002 a me
sconosciuto, ma che temo in pochi abbiano già incontrato, inoltre
hanno partecipato a due compilation con brani inediti.
La formazione a cinque è piuttosto classica con il singer che
suona anche il flauto, ma la musica proposta dal gruppo è un
prog senza confini temporali, pesca nel classico e lo rilegge in chiave
moderna, un po’ come hanno fatto gruppi come i Landberk o gli
Anathema più intimisti e malinconici, con pregevoli sezioni
acustiche e ispirate fughe chitarristiche.
Sarebbero davvero tanti i riferimenti che si possono chiamare in causa,
dai Pink Floyd a certo space rock, dal metal al folk, ma questi toglierebbero
enfasi e autenticità al sound meraviglioso di questi ragazzi
che è veramente capace di sorprendere e incantare l’ascoltatore,
anche quello più esperto, con i suoi momenti lirici e delicati
e sfuriate rockeggianti ricche di pathos e di forza espressiva di
rara efficacia.
Gli Overhead ci accompagnano per quasi un’ora con sei tracce
che spaziano dai due minuti e sedici della strumentale “Arrival
of the Red Bumblebee” ai quasi venti della suite iniziale omonima,
ma sia le tracce brevi che quelle lunghe sono estremamente gradevoli
e fresche e scivolano come una pioggia rinfrescante sul nostro animo.
Per me questo disco è uno dei più belli ascoltati negli
ultimi mesi e spero vivamente venga ristampato presto anche l’introvabile
esordio. Un acquisto sicuro. GB
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