I Soft Machine sono un icona del jazz prog, adorati da un pubblico
molto esigente che dopo di loro non ha più saputo trovare dei
degni sostituti. Il loro sound è costituito da jazz sperimentale,
di prog in senso classico se ne trova davvero poco, a meno che per
prog non si intenda “contaminazione”, perché i
Soft Machine in pratica hanno contaminato il jazz con il rock raggiungendo
dei livelli incredibili.
Ne è una prova questa testimonianza live del periodo d’oro
del gruppo. Siamo nel 1975 e in formazione troviamo il grande Allan
Holdsworth, uno dei più geniali interpreti della chitarra moderna
e che suona anche il violino, Mike Ratledge alle tastiere, Karl Jenkins
al sax, oboe e tastiere, John Marshall alla batteria e Roy Babbington
al basso. Tutti musicisti sopra le righe, capaci di partiture strumentali
non solo altamente tecniche, ma anche fortemente innovative e sperimentali,
con un grande senso della musica.
I tredici brani proposti sono molto vari e offrono una ricca serie
di spunti interessanti, con continui virtuosismi e passaggi emozionanti,
questo non toglie però che siamo di fronte ad un piatto per
esperti, un cibo per menti raffinate e non certo per il grande pubblico.
Certe aperture e alcune soluzioni sono di grandissimo spessore artistico
e il pubblico dalla mente più aperta può trovare molto
materiale stimolante.
Ma alla fine di tutto mi sorge un dubbio, forse il prog in quegli
anni è morto proprio per formazioni come questa che hanno raggiunto
un livello di ricerca così esasperato da diventare troppo elitario.
Il resto della storia lo conoscete anche voi. GB
Altre recensioni: Live
in Zaandam;
Soft Machine Legacy; Steam;
Drop; Live
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