Mi sono chiesto spesso perché esistono fenomeni di massa imbarazzanti
e non soltanto in ambito musicale. Da attento osservatore, ho dedotto
che i tempi odierni, quelli di internet e della connessione sociale,
sono un papparozzo di mordi e fuggi. Le persone sono invase e stordite
da una mirande di dati (più o meno veritieri), informazioni,
video etc. da restarne paradossalmente indifferenti. Come un virus
che si sente attaccato dalla medicina curante, si crea una autodifesa
nuova, chiudendosi in se stesso dietro ad una invisibile barriera.
Questo succede oggi, l’individuo sa tutto e non sa niente, piuttosto
approssimativo. Non ha più intenzione e ne il tempo di approfondire.
Ora ad esso propinargli musica per la mente, quella che fa pensare,
è quantomeno controproducente, in quanto farà soltanto
finta di amare questo “qualcosa” di apparentemente culturale,
ma in realtà soltanto a parole. Il Prog è questo, a
parole un genere rispettato e condiviso, in realtà ignorato
nei fatti delle vendite.
Per fortuna che esistono artisti come i Taproban che perseverano e
se ne infischiano di tutto, critica e pubblico compreso, semplicemente
suonando ciò che amano. Questi per chi scrive, sono i veri
artisti. E non stiamo di certo parlando neppure degli ultimi arrivati,
perché il gruppo del tastierista Gianluca De Rossi si forma
nel 1996 e realizza ben tre album di buona fattura, come “Ogni
Pensiero Vola” (2002 – Musea), “Outside Nowhere
(2004 – Mellow Records) e “Posidonian Fields” (2006
– Mellow Records). Dunque “Strigma” è un
ritorno da una lunga assenza che francamente mi ha lasciato l’amaro
in bocca, in quanto il progetto Taproban l’ho sempre considerato
positivo e di buona qualità. Dopo sette anni sono quantomeno
curioso di poterli riascoltare con del nuovo materiale ed una nuova
formazione composta nell’incisione dell’album da De Rossi
(tastiere, flauto, voce), Roberto Vitelli (basso, chitarra) e Francesco
Pandico (batteria), quest’ultimo recentemente sostituito da
Fabio Agresta.
E la musica? Non cambia poi di molto, rimangono le sonorità
alla EL&P, Orme, Banco e Balletto Di Bronzo. Rinnovo anche il
significato del nome Taproban a cui la band prende spunto, Taprobana
è l’antica denominazione dell’isola di Ceylon oggi
Sri-Lanka, dove Tommaso Campanella immaginò il sito della sua
Città Del Sole. Ma veniamo a “Strigma”, crasi delle
due parole latine “Strix” (strega) e “Stigma”
(marchio). In esso c’è tutto quello che un vero amante
del Prog vuole ascoltare, basta dire che il disco è composto
da tre suite per avvallare la tesi.
Si comincia con “Nesia Al Notturno Congresso Delle Streghe”,
una triste storia di una ragazza dodicenne condannata al rogo dalla
Santa Inquisizione in quanto serva del demonio, dopo aver partecipato
ad un sabba, seppure in maniera casuale.
Apre un arpeggio che lascia spazio alle numerose tastiere a cui andremo
incontro nel lungo cammino di “Strigma”. Sonorità
grevi si alternano ad ampie schiarite, pur restando sempre velate
di malinconia. Agli amanti delle tastiere elenco cosa andrete ad ascoltare
in questo cammino, dall’Hammond C3 al Leslie 122, al Mellotron
SM400 (cori e flauto), Manikin Electronics Memotron, Hohner Claviet
D6, Minimoog D, ARP, Nord Electro 3 HP ed EMU Vintage pro! Un vero
e proprio armamentario del Prog. Intanto il brano gioca fra virtuosismi
e melodie vintage, con tempi spezzati come spesso ci hanno suggerito
i Genesis di Peter Gabriel. Alcune nenie ricordano i Goblin più
oscuri, perfetta fotografia di questo contesto ne è anche l’artwork
rappresentante “La Danza Delle Fiamme” di Daniela Ventrone.
E quindici minuti passano in un baleno.
Il secondo brano dal titolo “Lo Sguardo Di Emily” è
il più breve dell’album, della durata di otto minuti
e mezzo. Qui si coglie l’attimo, quello di due sguardi di ragazzi
che si incontrano in un istante, quello breve di un incrocio fra due
treni che corrono su due binari paralleli. Cambi di ritmo sono la
prassi di questo genere e il brano in analisi non esula da questa
regola. In alcuni frangenti, si richiamano anche gli IQ periodo anni
’80 del New Prog inglese alla ribalta. La musica evoca immagini,
la ripetitività di alcuni fraseggi martellano la mente, salvo
mutare pelle e strumento solamente al momento giusto, tanto da non
annoiare.
Il disco si conclude con “La Porta Nel Buio”, uno spaccato
della solitudine intesa come luogo dove poter trovare se stessi ed
accrescere autostima nei propri mezzi. Apre un intro pianistico intenso
e profondamente intimistico, come trama vuole, per poi districarsi
in ambienti cari al Progressive italiano di natura vintage. Unico
brano con un breve testo cantato. Una suite che probabilmente nella
mente di un fans del genere proietta deja vu, croce e delizia di questo
spaccato italico Progressivo.
Siamo al solito discorso trito e ritrito fatto negli ultimi anni al
riguardo del genere, “Progredire” o “Regredire”?
Una cosa è certa, la risposta qualunque essa sia lascia il
tempo che trova, in quanto la musica di base deve solamente emozionare
e quando ciò avviene lo scopo è raggiunto. Poco importa
il mezzo, il resto sono soltanto elucubrazioni cervellotiche che lasciamo
fare ai filosofi del Prog. Io ascolto ed apprezzo. Bentornati Taproban.
MS
Altre recensioni: Ogni Pensiero Vola;
Outside Nowhere;
Posidonian Fields
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