Questo gruppo al debutto discografico viene dalla prolifica Svezia,
ma rappresenta una novità decisamente interessante.
La formazione a quattro comprende voce, tastiere, basso e batteria,
il che può far pensare agli ELP, ma i Violent Silence musicalmente
non hanno nulla del trio più famoso del prog. Piuttosto le
atmosfere cupe e claustrofobiche ricordano i King Crimson degli anni
ottanta, quelli contaminati con il pop di quel periodo, infatti le
tastiere Ljunghall mescolano progressioni spettacolari a ritornelli
vagamente elettronici con il perseguimento di un risultato molto personale
ed efficace. Il basso di Bastin ci regala delle ritmiche ruvide e
selvagge che creano un potente contrasto con le tastiere più
gentili, il tutto sorretto da un drumming molto dinamico, un trio
esaltante con un vocalist che aggiunge un tocco quasi spirituale con
la sua voce malinconica e sognante.
L'album è diviso in dieci traccie molto varie, si parte con
"Squeal Point", un brano inquietante che mette subito in
luce la forte personalità della band. "Dead Cities"
presenta un suono di tastiera elettronico, che fa pensare vagamente
ad un tema spaziale, ma un basso molto presente rompe le fredde geometrie
delle keys e regala delle grandi emozioni. Il terzo brano è
più prevedibile dei precedenti. "Curtains" ha delle
melodie molto belle e poetiche, mentre "Tunnel Vision" è
sorprendente nei suoi giochi complessi di tastiere e ritmiche ai limiti
della world music, un brano davvero interessante. La malinconia di
"The Sound of Dying" è magia pura, ma la vitalità
di "War Ant" è contagiosa. Se non credete che un
ritornello reggae non possa essere usato in un brano prog allora ascoltate
"Shoot It in the Head" e avrete delle sorprese! La conclusiva
"Grey Fluid Earth" è la traccia più lunga
e bella del disco, un capolavoro da ascoltare tutto dun fiato.
In questo periodo dominato da gruppi stereotipati, che ripetono all'infinito
cose fatte da altri, i Violent Silence si pongono con forza come grande
novità. GB
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