La
tradizione prog americana è molto particolare, a parte i gruppi
che hanno avuto un grande successo come i Kansas, i Rush e i Dream
Theater, ci sono stati tutta una serie di bands "minori"
di grande spessore, ma meno fortunate come gli Happy The Man o i Mirthrandir,
che avevano un suono meno "americano" e più vicino
ai gusti degli appassionati del prog europeo.
Gli Akacia seguono la tradizione di questi ultimi e propongono un
prog carico di tensione e di idee. La band è composta da Eric
Naylor alla voce che si ispira vagamente a Jon Anderson, Michael Tenenbaum
alle chitarre e tastiere che è il principale compositore, Steve
Stortz al basso (usa il Rickenbaker e pompa come un maledetto) e Doug
Meadows alla batteria. L'album è diviso in quattro lunghi brani
molto complessi per quasi un ora di musica, per certi versi le composizioni
degli Akacia ricordano le geometrie degli Yes primo periodo, anche
se non ne hanno la musicalità, ma il paragone non è
sufficiente a descrivere il gusto sinfonico e visionario di questa
formazione.
"An Other Life" inizia con un giro vorticoso che contiene
molte delle caratteristiche peculiari della band: grande preparazione,
forza espressiva e un sound roccioso e travolgente che si dipana lungo
gli oltre sedici minuti tutti da gustare. "Mary" è
un pezzo dall'impianto terribilmente retrò, sembra un brano
hard rock dei primi anni settanta con una chitarra non troppo distorta,
ma autrice di un giro stupendo e non posso non provare una grande
nostalgia per un modo di fare musica che sembrava perduto. "Hold
Me" è più rassicurante degli episodi precedenti,
sembra infatti una lunga jam session con vari inserti dal sapore jazzato.
Chiude la lunga "Journal", dove i quattro ragazzi danno
il meglio di se stessi.
Le registrazioni sono penalizzate da un budget limitato, ma le idee
compensano le lacune. Un debutto ben sopra la media. GB
Altre recensioni: The Brass Serpent;
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Fading Time
Interviste: 2006
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