Vengono dalla lontana Scandinavia gli Änglagård, gruppo
di rock progressivo svedese che ha visto la luce a Stoccolma nel 1991
da una felice idea di Tord Lindman e Johan Högberg, rispettivamente
chitarrista e bassista. Al loro annuncio avevano risposto Thomas Johnson,
tastierista, e Jonas Engdegård, altro chitarrista, seguiti in
seconda battuta dal batterista Mattias Ollson, ancora nemmeno maggiorenne,
e in ultimo dalla flautista Anna Holmgren. Formato il gruppo decisero
poi di chiamarlo Änglagård, che in svedese significa “giardino
degli angeli”.
Evidente la matrice settantiana nella loro musica. Fin dagli esordi
la band si è ispirata a mostri sacri del calibro di King Crimson,
Van der Graaf Generator, Gentle Giant, Yes e Jethro Tull, infatti
c’è chi dice che i loro lavori si inseriscano meglio
tra i grandi album prog degli anni Settanta piuttosto che in panorami
più attuali, eppure, grazie anche alla bravura dei musicisti
e alla azzeccata combinazione di vintage e contemporaneo, il suono
sa essere personalissimo, un misto di folk e di dark che dà
del prog “classico” una rilettura nuova, comunque diversa,
e soprattutto straordinariamente riconoscibile. Hybris, uscito nel
1992, è il loro album di debutto, un’opera possente,
articolata in quattro lunghi brani dai passaggi trascinanti e complessi,
dalla strumentazione ampia, quasi orchestrale, con flauti, organi,
mellotron, percussioni. Alla composizione hanno partecipato tutti
e sei i musicisti. I testi, in lingua madre, sono opera di Lindman.
Apre il disco l’immensa Jordrök, undici minuti di incanto
da ascoltare in religioso silenzio. Brano poderoso e affascinante,
di straordinaria potenza espressiva. E forse non è un caso
se in svedese Jordrök significa “fumo dalla terra”.
Fin dalle prime note è chiaro che qui non si scherza, questi
sei sanno davvero il fatto loro. A dare l’avvio è il
piano in una introduzione che subito cattura, spiazzante nella sua
raffinata semplicità. Il pezzo incede poi alternando vortici
impetuosi a larghe aperture, intermezzi corali a passaggi strumentali
dove la maestria dei nostri emerge indiscutibile. L’atmosfera
è a tratti inquietante, imprevedibili i cambi di ritmo. Strumento
cardine del brano è l’organo e le sonorità, in
bilico tra classico e sperimentale, sono un distillato di rock progressivo.
Questo brano è una perla. Satura di toni scuri la lunga traccia
che segue, Vandringar i vilsenhet, dove echeggiano forti i richiami
ai primi Crimson, quelli di I Talk To The Wind, per intenderci. Il
mood progressivo è notevole. Apre le danze il flauto di Anna
Holmgren, cesello da sogno di andersoniana memoria, in un’overture
dai toni tristi dove l’organo fin quasi da subito insinua spine
di sapore gotico. La voce di Tord ha tinte cortesi che ben si adattano
all’insieme e non stona affatto che canti in svedese. Superbo
il lavoro di batteria, per essere un ragazzino Mattias ha già
mestiere da vendere. La cadenza è ora raccolta ora incalzante,
organo e mellotron danno al pezzo un cuore strepitoso da alta scuola
prog. Bello l’incedere buio nel finale, sublime crescendo a
passo di marcia.
Nella terza traccia, Ifrån klarhet till klarhet, dopo una brevissima
introduzione a motivo circense che sembra messa lì per trarre
in inganno, ecco uno schiaffo prog da paura, la sezione ritmica qui
dà fondo alla santa barbara, non ce n’è per nessuno.
Splendida l’apertura a un terzo dall’inizio, ponte lieve
e meditativo che richiama alla mente i Gentle Giant di Nothing At
All. Brilla su ogni nota il tocco inconfondibile del sestetto svedese.
Ecco infine Kung Bore, Re Inverno, ultimo squisito tassello di un’opera
che lascia il segno. L’avvio è acustico e toglie il fiato,
chitarre classiche, un piano, i panorami che vengono fuori sono di
una raffinatezza senza pari, poi però il brano esplode e si
trasforma in un caleidoscopio impressionante. Sfrenati i cambi di
ritmo, si va dalla ballata alle corse spiritate, dalle danze medievali
alle aggressioni elettriche. Le contrapposizioni di stile sono ardite
eppure niente sembra fuori posto. C’è di tutto, qui,
poco da dire. C’è la classica, il rock, perfino del jazz,
e tutto è mescolato con grande bravura. Brano da capogiro.
Recentemente ristampato, questo disco è stato a lungo introvabile,
una vera chicca da collezionisti. La copertina è stupendamente
all’altezza, questa figura enigmatica di sole in odore di tarocchi,
difficile pensarne una più adatta a incorniciare un’opera
di livello così alto. A questo punto non c’è molto
da aggiungere. Da amante del prog, a quelli come me che ancora non
lo conoscessero direi che conoscerlo è un imperativo, meglio
correre ai ripari il più presto possibile, gli Änglagård
sono una realtà di quelle grosse, non si può scappare.
A tutti gli altri lo consiglierei senza tante parole. Si sta parlando
di un capolavoro. LM
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