Rock Impressions

Änglagård - Prog pa Svenska ÄNGLAGÅRD - Prog Pa Svenska - Live in Japan
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Prog
Support: CD
- 2014


A sorpresa mi ritrovo tra le mani una novità luccicante, il nuovo album degli Änglagård, questa volta del tutto inaspettato. Arrivato in redazione per posta, a inviarlo nientemeno che Anna Holmgren. Emozione grande. È un disco doppio, registrato dal vivo nel marzo dello scorso anno in occasione di tre serate consecutive al Club Città a Kanakawa, in Giappone, serate che i musicisti svedesi hanno diviso con The Crimson ProjeKCt di Adrian Belew e compagni. Già l’artwork, almeno per quanto riguarda questa copia, promette molto bene. Ci hanno lavorato gli stessi musicisti, a quanto pare i talenti sono molteplici. Nella cover un sole, ancora aria di tarocchi, qui, e tra i raggi i ritratti dei cinque che formano ora la line up del gruppo (Anna Holmgren, Johan Brand, Tord Lindman il fondatore, che è recentemente tornato nel gruppo, e due new entry, il batterista Erik Hammarström, subentrato a Mattias Ollson, e alle tastiere Linus Kåse). Sulle due facciate interne una bella istantanea del gruppo dipinta da Tord a china e acquarello.

Le tracce in totale sono sette, quattro nel primo disco, tre nel secondo. A scorrere i titoli i pezzi cardine ci sono tutti e se qualcosa manca è soltanto perché di dischi ce ne sarebbero voluti tre, come i capolavori già sfornati finora. Si comincia con Introvertus Fugu part I. Solo a sentire che qui c’è un pubblico che acclama mi parte il brivido. In Giappone l’attenzione verso il prog è sempre stata alta, ai tempi d’oro così come oggi, e non c’è band progressiva che non sogni di esibirsi laggiù o che non l’abbia già fatto. Perfino i nostri artisti sono più seguiti lì che da noi, è tutto dire. Tornando all’album, Introvertus Fugu inizia cauto, il sound è originale, misto sapiente di classico e moderno con inserti atonali e un uso accorto di suoni dal sapore vintage. Si capisce più o meno da subito che i cinque sono macchine da palcoscenico. Il livello tecnico è notevole, i due nuovi entrati si dimostrano perfettamente a proprio agio e risulta spettacolare l’affiatamento. Il brano è un inedito, segno che con buona probabilità qualcosa di nuovo bolle in pentola, e se il buongiorno si vede dal mattino c’è di che aspettarsi roba buona. Il secondo pezzo è Hostsejd, vera gemma dell’era Epilog. Un salto indietro di vent’anni ma la potenza è la stessa e il fascino pure, anzi, dal vivo il brano esce perfino più energico, anche merito di una strumentazione lievemente rivista, con il sassofono che sostituisce il flauto nella prima linea melodica. Segue Längtans Klocka, dall’ultimo disco realizzato in studio. Bello l’accordo tra gli strumenti, tutto fila a meraviglia. Anche in questo caso è il sassofono a portare aria nuova rispetto al brano registrato in studio, ma nel complesso è rimasta uguale la forza d’insieme, mentre il motivo di ispirazione circense che apre l’ultima parte del brano acquista qui note perfino losche. Il primo dei due dischi si chiude con uno dei cavalli di battaglia della band, Jordrök, dall’album di esordio Hybris, forse il brano più bello di tutta la carriera e senz’altro il mio preferito. Splendida l’esecuzione dal vivo, la versione che ne esce è più profonda, più di pancia di quella registrata ventidue anni fa, magari meno impeccabile ma di certo autentica fino all’osso.

Il secondo disco si apre con Sorgmantel, altro brano tratto dall’ultimo album in studio. L’arrangiamento è un poco diverso rispetto alla versione registrata e se è vero che dietro ogni passaggio, specie all’inizio, si avverte una minore raffinatezza è anche vero che il brano mostra qui un’anima che prima non aveva, molto umana. Il ritmo è delicato e preciso, l’uso delle percussioni, in special modo nella parte finale, dà contorni più netti al tutto e il tema dell’intro, passato dalla chitarra al basso al piano per tutta la lunghezza della traccia, rende ancora più evidente la natura di fuga del pezzo. Ancora un balzo all’indietro nel tempo, con Kung Bore, altra perla di Hybris. Versione splendida di un brano già splendido, trova qui, nelle potenti linee di basso, un’energia tutta nuova. Gran bel passaggio il ponte nella parte centrale del pezzo, la scrittura è tesa, si avverte il caricarsi di qualcosa. Il lavoro di percussioni è magnificamente suggestivo e il finale è da capogiro, mi immagino che emozione trovarsi sotto il palco mentre ti suonano davanti una cosa del genere. Sigilla l’opera la bella Sista Somrar, che si apre con un’intro lenta, oscura, di grande spessore acustico. La versione qui proposta è perfino più profonda di quella orginale, che pure era già così intima, e su ogni nota il basso di Brand stende tinte di nero assoluto. Il finale è mozzafiato.

Anche il secondo disco è finito. Ricomincio da capo, l’ascolto va gustato molte volte, una non basta. Una cosa è certa: gli angeli del prog neppure stavolta si sono smentiti. Quest’opera è un signor lavoro, ne viene fuori l’immagine di musicisti maturi, che la lontananza dalle scene ha in qualche modo forgiato al meglio. Consigliato a chi ama la musica, per davvero però. LM

Altre recensioni: Hybris; Epilog; Viljans Öga

Live: 2014

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