Sono passati due anni dal sorprendente esordio, il tanto celebrato
Hybris, ed eccoli di nuovo in studio, gli Änglagård, gli
angeli della nuova scena progressive scandinava. Li ritroviamo tutti
e sei, la formazione non è cambiata: Tord Lindman, qui unicamente
in veste di chitarrista poiché non ci sono parti cantate, Johan
Högberg al basso, Thomas Johnson alle tastiere (hammond e mellotron
da favola), Jonas Engdegård alla chitarra, alle bacchette è
Mattias Ollson, ancora un ragazzino ma che classe, e Anna Holmgren
al flauto. Fanno da spalla musicisti di estrazione classica, violino,
viola, violoncello. Il disco si chiama Epilog, titolo che in qualche
modo fa presagire la fine di un percorso, ed è già nell’aria
infatti lo scioglimento della band che seguirà di pochi mesi
l’uscita dell’opera. In copertina l’immagine di
un bosco nella quale si indovinano i tratti di un volto femminile.
Molto bello anche il booklet, ancora volti di donna che si leggono
appena, chi sul pelo di uno stagno, chi tra le forme di un fiore,
oscure quanto basta a suggerire le tinte che si annidano tra queste
note. Il nuovo lavoro non delude le aspettative, e non era gioco facile,
visto il calibro del precedente album. Interamente strumentale, si
divide in tre lunghi brani più quattro brevi di raccordo. Rispetto
a Hybris, per alcuni versi un autentico esempio di rock sinfonico,
Epilog mostra una maggiore spinta verso la ricerca. Si sperimenta
molto tra queste partiture, a tratti si sfiora l’avanguardia.
L’ascolto va fatto in silenzio, vietato distrarsi. Dopo un breve
inizio dal sound orchestrale, Prolog, poco più di un assaggino
che trasuda accoramento da ogni rigo, parte la prima delle tracce
lunghe, Höstsej, suite di incomparabile bellezza, dove per quindici
minuti si rincorrono virate di ritmo, tempi dispari e commistioni
di generi da lasciare a bocca aperta. Strepitose le linee di basso,
come pure certe trovate alla batteria. La maestria è quella
che sapevamo, ma c’è ancora spazio per brividi nuovi.
Segue la sognante Rösten, miniatura triste di tre minuti e spicci.
Qui flauto e mellotron fanno a gara a chi tocca le corde più
dolci, la strumentazione di fondo è classica, di rock non c’è
neppure l’ombra, e il risultato è un piccolo gioiello.
Lo stacco è soltanto accennato e sulla stessa aria malinconica
si apre Skogsranden, altro bel pezzo prog. Note di piano, all’inizio,
ancora il flauto, la chitarra classica. Poi il brano cresce, scopre
i denti e si prende tutto lo spazio che c’è, a morsi,
discostandosi abbastanza nettamente dalle linee compositive dei pezzi
precedenti. Aleggiano tocchi di audacia al limite dell’improvvisazione.
La classe è tanta, niente da dire, e sono forti i richiami
alla musica dei grandi Gentle Giant, anche se magistralmente riletta
sotto una luce nuova. Segue la splendida Sista Somrar, in svedese
“l’ultima estate”. L’inizio è mesto,
i tempi sono lenti, trascinati, ma è solo il caricarsi di qualcosa,
solo tensione che sale. Poi di colpo dilaga la vertigine sotto il
segno dei sei, ed è cento per cento prog. Grandiosa la parte
finale, un pezzo d’arte. Chiude il disco la breve Saknadens
Fullhet, assolo per piano triste, l’epilogo giusto in un lavoro
pensato per dire addio.
Come è avvenuto per Hybris e per molte altre perle della musica,
Epilog è stato a lungo introvabile, a meno di pagarlo un occhio
della testa, ed è una fortuna che recentemente ne sia stata
fatta una ristampa alla portata per tutti i portafogli. Meno di impatto
del precedente lavoro, e di ascolto forse più difficile, Epilog
non ha nulla da invidiare né a Hybris né ai grandi capolavori
prog del passato e per questo merita un posto d’onore in ogni
collezione di musica di qualità che si rispetti. È un’opera
sublime, epica, seducente. L’acquisto è consigliatissimo.
Gli Änglagård hanno colpito ancora. LM
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