Ci sono molte storie dietro questo album, l’undicesimo del famoso
supergruppo inglese, molte che varrebbe la pena di ricordare, ma che
non possono essere messe nel breve spazio di una recensione. Per Phoenix
si è riformata la line up originale, con John Wetton (King
Crimson, Uriah Heep, Roxy Music) alla voce e al basso, Steve Howe
(Yes) alla chitarra, Geoff Downes (The Buggles, Yes) alle tastiere
e Carl Palmer (ELP, Atomic Rooster) alla batteria. Era dall’83
che non si riunivano, venticinque anni di tempo per decidere di riprovarci.
Nel frattempo si sono alternati più di dieci chitarristi e
diversi altri musicisti, mentre il cantante succeduto a Wetton era
John Payne, che poi andrà a formare una seconda band dal nome
Asia Featuring John Payne, con Erik Norlander, Gutrie Gowan e Jay
Schellen. Con questa reunion gli Asia incideranno tre album, tutti
editi per la Frontiers, la storica label partenopea e anche questo
non è un dettaglio da trascurare. Questo orgoglio nazionale
ha riportato in auge molti eroi della scena hard melodica e non solo,
svolgendo un lavoro notevole. Poi c’è la magica mano
di Roger Dean per l’artwork, che ha contribuito non poco al
successo della band.
La nascita di questo supergruppo “prog” aveva alimentato
molte speranze, vista la caratura dei musicisti coinvolti, ma la linea
intrapresa era di un classic rock arioso e melodico, se preferite
un pomp rock che di prog aveva quasi nulla, però univano belle
melodie a linee musicali vibranti, a tratti epiche e vagamente romantiche.
Nel bene e nel male con gli Asia questi campioni delle sette note
sono arrivati in vetta alle classifiche, raggiungendo consensi insperati.
Suonando un rock al passo coi tempi, siamo nella prima metà
degli anni ottanta, hanno saputo prendersi una rivincita su tanti
giovani gruppi, che sembravano aver spazzato via i “vecchi dinosauri”.
Phoenix ha avuto un sapore molto particolare, di rinascita appunto,
quindi il titolo non poteva essere più azzeccato. Per l’occasione
i quattro hanno dato vita ad una raccolta di canzoni splendide, ovviamente
per gli amanti del genere. Si apre con l’anthemica “Never
Again”, un riff tagliente di chitarra e un incedere incalzante.
Wetton è in ottima forma e ci troviamo un brano rock coinvolgente.
Il giro di tastiere di apertura di “Nothing’s Forever”
è ancora più epico, anche se poi il brano vira verso
un rock malinconico più tranquillo, una bella canzone con parti
vocali riuscite, ma con meno mordente. “Heroine” invece
tocca a fondo il lato romantico della band, con una parte in piano
acustico che sembra una romanza. “Sleeping Giant” vorrebbe
recuperare le simpatie del pubblico prog, riuscendo solo in parte
nell’intento, perché è un medley e la seconda
“No Way Back” non mantiene le buone promesse iniziali.
Poi arriva la leggera “Alibi” e non è facile credere
che a suonarla siano i musicisti sopraddetti, a parte qualche buon
passaggio strumentale, resta un brano troppo easy. Un po’ meglio
la ballata elettrica “I Will Remember You”, anche se un
po’ prevedibile, però almeno la classe è salva.
Altri accenni prog tornano nell’altro medley che inizia con
“Parallel Worlds”, ancora ottime partiture strumentali,
troppo poco per qualcuno, ma sicuramente molto godibili. Un brano
che mi è piaciuto in particolare per la sua struttura originale
è “Wish I’d Know All Along”, seguita da altri
brani abbastanza buoni, ma è la finale “An Extraordinary
Life” a risollevare definitivamente il bilancio del disco, un
brano davvero notevole, che ha il sapore di un inno alla vita.
Questa ristampa contiene sia la versione europea del disco che quella
americana, su due cd, in aggiunta quella europea presenta come bonus
le versioni acustiche di “I Will Remeber” e “An
Extraordinary Life”, con Wetton che ancora una volta riesce
a farci venire la pelle d’oca con la sua voce emozionante. GB
Altre recensioni: Alive in Hallowed Halls;
Aqua; Anthology; Aria;
Arena; Archivia; Omega
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