INTERVISTA
CON BACCINI SOPHYA
di Giancarlo Bolther
Non voglio nascondere l'emozione che ho provato per aver potuto intervistare
nuovamente Sophya Baccini, che col suo secondo album è riuscita
ad emozionarmi ancora più che col primo. Già la scorsa
intervista era stata molto significativa per me e, dalle sue risposte,
erano emerse molte cose su cui riflettere, posso preannunciarvi che
se vi era piaciuta la scorsa intervista, questa non vi deluderà
di certo.
Big Red Dragon è il tuo secondo disco, un lavoro che
segue di circa quattro anni il precedente, perché tanto tempo?
Quali sono le principali differenze tra i due album dal tuo punto
di vista?
Si è trattato principalmente di tempi tecnici. Dato che è
un lavoro pieno di ospiti prestigiosi, c’è voluto molto
tempo prima di tutto per contattarli, poi per descrivere il progetto.
Quando ho avuto la risposta positiva, ho scritto espressamente per
ognuno di loro il brano che dovevano cantare, ed a volte è
stato necessario cambiare qualcosa, tipo la tonalità, il testo,
la struttura. Infine ho aspettato che i loro impegni gli consentissero
di inviarmi i file definitivi, specie nel caso degli ospiti stranieri
e di quelli che vivono lontano da Napoli, e cioè Sonja Kristina,
Christian Decamps, Steve Sylvester, Elisa Montaldo e Roberto Tiranti.
Per quelli che vivono nella mia città, più o meno il
discorso è stato lo stesso. Sono venuti in studio a registrare
le loro parti, ma in questo caso ho dovuto tenere conto della loro
disponibilità e di quella della sala d’incisione. Infine,
quando il lavoro era completo, c’è voluto circa un anno
per registrarlo in studio con i miei musicisti, sempre per coordinare
gli impegni di tutti, e un paio di mesi per missarlo. Rispetto ad
Aradìa, mi sembra che Big Red Dragon sia molto più compatto,
più fluido e maturo, ed anche più heavy. In Aradìa
posso dire che mi cercavo, con Big Red Dragon la strada era tracciata
ed era ben chiara nella mia testa.
Per l’album ti sei ispirata al lavoro visionario del
pittore inglese William Blake, ci vuoi raccontare come hai cercato
di trasportare in musica le forti emozioni che Blake ha impresso nei
suoi dipinti?
Mi sono affidata all’istinto, senza ragionarci troppo, lasciando
scorrere le emozioni. Prima di tutto ho scelto i quadri, anche qui
in maniera molto immediata perché la sua produzione è
veramente sconfinata. Oltre ai quadri slegati da tematiche obbligate,
Blake ha illustrato tutta la Divina Commedia, tutto il Paradiso Perduto
di Milton, e quasi tutto l’Antico Testamento. Puoi immaginare..
una volta scelti gli 11 disegni, li ho salvati sul computer, e tenendo
l’immagine sul monitor vicino al pianoforte guardavo e scrivevo,
guardavo e suonavo. Volevo entrare nel suo mondo attraverso la mia
visione delle sue visioni, come se lui fosse il mio specchio. Raccontare
i suoi quadri, piuttosto che scrivere un’opera sulla sua vita,
mi sembrava il modo migliore per celebrarlo, e questo tipo di approccio
ha reso tutto più facile e leggero.
Nella mia recensione ho accostato il tuo brano “Satan”
a “Come to the Sabbat” dei Black Widow, non perché
ho trovato similitudini, ma per una tensione, una forza espressiva
che sento comune ad entrambe, cosa ne pensi?
Penso che ci hai preso in pieno, perché in un primo momento
questo brano l’avevo scritto proprio per il cantante dei Black
Widow, Kip Trevor. Anche lui doveva figurare tra gli ospiti, poi per
una serie di impegni inderogabili non ha potuto partecipare, cosa
che è dispiaciuta molto sia a me che a lui. Mi è rimasto
questo involontario regalo da parte sua, e cioè “Satan”..
siamo comunque rimasti in ottimi rapporti ed anzi proprio pochi giorni
fa ci siamo incontrati a Londra.
L’ultimo brano “Jerusalem” mi ha ricordato
le melodie celtiche alla Enya, è solo una mia impresisone?
“Jerusalem” è l’unico omaggio del disco dedicato
alla poesia di Blake, e non alla pittura. Era una sua lirica, che
poi è stata musicata più di un secolo dopo da Sir Charles
Hubert Hastings Parry. Secondo me, è proprio l’essenza,
l’anima della cultura inglese. È diventato praticamente
l’inno nazionale alternativo di quella nazione.. io l’ho
semplicemente arrangiato, cercando di riprodurre il senso epico e
la bellezza della musica e dei versi. Anche in questo caso non è
solo una tua impressione..la melodia è sicuramente ispirata
al mondo celtico, fondamentale nella storia della Gran Bretagna.
Anche questo nuovo disco è molto dark, come del resto lo erano
i lavori dei Presence, cosa ti affascina tanto di questo tipo di musica?
Mi piace! Mi piacciono le armonie, le melodie, le tematiche. Non so
dirti perché, è una cosa di pelle, di sensazioni inspiegabili.
Forse dipenderà anche dal fatto che sono napoletana, perché
ho notato che certi intervalli musicali della scala napoletana minore
sono molto usati anche nel dark. È una sensibilità a
me familiare. E poi è un mondo infinito da esplorare, semplice
e complesso, pieno di limiti e di contraddizioni. Quasi una sfida.
Si dice che le famiglie felici sono tutte felici allo stesso modo,
mentre quelle infelici lo sono ognuna a modo suo. Nella musica dark
è lo stesso. La felicità è una, è quella,
e non è uno stato, è un momento. L’oscurità
della mente umana invece è sempre lì in agguato con
forme sempre diverse, pronta ad aggredirti, a perderti, ma anche ad
insegnarti come funzionano le cose in questo mondo. Ci vuole tanta
forza per affrontarla, ci vuole coraggio per riconoscerla e superarla.
Trasportare in musica tutto questo, per una musicista visionaria come
me, è irresistibile e meraviglioso.
Per il tuo secondo album solista hai messo in piedi una vera band
in cui dominano le donne, ci vuoi parlare di come è nata e
dei singoli componenti del gruppo?
Era sempre stato un mio pallino, un sogno, avere una band al femminile.
Per pubblicizzare Aradìa, tra il 2009 e il 2011 avevo fatto
alcuni concerti acustici dove c’ero io al pianoforte e voce,
Chicco Accetta alla chitarra e Stella Manfredi al violino. Proprio
la presenza di Stella, che ho conosciuto tramite Lino Vairetti, mi
ha fatto ricordare questo mio desiderio. Tenendo fermo Chicco che
per me è inamovibile, ho pensato di affiancare a Stella altre
musiciste per questo disco. Ho messo un po’ in giro la voce,
e sempre tramite Lino è arrivata Francesca Colaps, la batterista.
Giovanissima come Stella – tra l’altro hanno legato subito
ed insieme sono incontenibili – si è tuffata nel progetto
con una passione ed un entusiasmo favolosi. Lei studia jazz, quindi
il mondo prog dark le era totalmente sconosciuto. Questa cosa mi ha
fatto piacere, perché io cercavo proprio un approccio non convenzionale.
È stata meravigliosa, ha imparato in pochissimo tempo dei brani
obiettivamente difficili nelle strutture, ed ha registrato la batteria
in studio in pochissimo tempo. L’ho lasciata libera di esprimersi,
ho fatto così con tutte loro, perché volevo un gruppo,
non dei turnisti. Trovare la tastierista invece è stata un’impresa,
quasi avevo rinunciato.. poi una mia allieva di canto mi ha presentato
Marilena Striano, ed è stato amore a prima vista. È
diplomata in pianoforte, quindi ha una base classica che nel prog
è indispensabile, ma ha anche una vastissima esperienza live
con gruppi di pop-rock italiani di fama, cosa che le ha dato uno stile
ed un’apertura mentale davvero rari. Ascolta e suona di tutto,
dai Pink Floyd ai ZZ Top a Battiato, al commerciale raffinato. È
suo il pianoforte in Beatrice, che abbiamo registrato dal vivo in
sala solo piano e voce. Io le ho dato la linea di canto, e lei ha
arrangiato le armonie e le due parti strumentali. Buona la prima!
Stella si sta diplomando in violino, e suona anche la viola. Questo
suo talento mi ha permesso di arrangiare gli archi come se avessi
un’orchestra, e pezzi come William, La Porta dell’Inferno,
While He’s Sleeping non sarebbero gli stessi senza di lei. E
poi c’è Chicco, che secondo me è il vero valore
aggiunto di Big Red Dragon. Suono personalissimo, tocco magistrale,
assoli sempre in equilibrio perfetto tra tecnica ed emozione. Particolarmente
in Just e Cerberus, ha suonato in maniera divina! Un bluesman al servizio
del dark e del metal.
Fare una vera band è stata una scelta obbligata o una
svolta naturale?
Un po’ tutt’e due. Come per Aradìa, anche Big Red
Dragon è stato un nuovo inizio. Il secondo album solista, ma
stavolta con materiale completamente nuovo. Aradìa è
stato il riassunto dei miei pensieri in musica, maturati durante tutti
gli anni trascorsi a scrivere testi come cantante dei Presence. Canzoni
ed idee che conservavo nel cassetto, e che ho rielaborato mentre cercavo
il mio percorso. In Big Red Dragon la strada era tracciata, ero più
sicura di me, soprattutto come compositrice ed arrangiatrice. Appena
ho finito di realizzare l’ultimo provino qui a casa mia, prima
di entrare in sala, mi sono resa conto che volevo un progetto più
ampio, una collaborazione corale. Stare in un gruppo mi è sempre
piaciuto, perché il confronto produce creatività. In
questo momento della mia vita e della mia carriera, volevo di nuovo
sentirmi circondata da persone che credevano nella musica in se stessa,
e che volevano lasciare un segno, una traccia. Questo succede solo
all’interno di una band.
La volta scorsa mi avevi detto che stavi avendo buoni riscontri al
tuo lavoro, questi riscontri sono più in Italia o più
all’estero, poi come si differenziano tra Italia e estero?
Probabilmente grazie alla tematica, questo secondo disco sta andando
molto bene anche in paesi dove finora non ero mai entrata con la mia
musica. Per esempio l’Inghilterra, l’Olanda, il Giappone,
la Spagna, ed anche i paesi americani di lingua spagnola, come il
Brasile ed il Messico, dove il prog è un genere molto amato
e molto suonato. In Italia ovviamente mi conoscono meglio, conoscono
anche i Presence. Ma è stato bello, dopo tanta fatica, scoprire
che anche paesi molto poco esterofili per tradizione, come la Francia
e l’Inghilterra, hanno notato ed apprezzato il mio lavoro.
Sempre nella scorsa intervista mi avevi detto del tuo forte
legame con la tradizione musicale napoletana e che avevi voglia di
sperimentare la scala napoletana nella tua musica, ci sei riuscita?
Ho scritto da poco una tarantella rock, un brano strumentale. Chissà,
magari è l’inizio di un nuovo progetto..
Anche nel nuovo disco sei stata onorata da importanti special
guests, ma queste collaborazioni quanto aiutano un disco ad avere
buoni consensi?
Aiutano molto ad ottenere attenzione. Se dei grandi artisti hanno
giudicato il tuo lavoro valido al punto di voler partecipare, questo
suscita quanto meno curiosità nell’appassionato, che
è maggiormente disposto ad ascoltare. Stiamo vivendo un momento
in cui l’offerta di musica in questo campo è fortissima,
mentre il bacino di utenza è sempre quello. Riuscire ad emergere
da questo mare magnum è difficilissimo. Gli ospiti prestigiosi
ti aiutano a far sapere che esisti. Comunque vorrei dire che non è
stato un mero calcolo da parte mia, invitare ospiti famosi. Era il
progetto, era la figura di William Blake che secondo me meritava degli
ospiti straordinari.
Fra le collaborazioni ci sono artisti con cui hai un sodalizio
consolidato, come Lino Vairetti, ma quanto queste partecipazioni sono
“scambi di piaceri” o frutto di un vero rapporto di amicizia?
Il rapporto con Lino è cominciato come una collaborazione puramente
professionale, poi negli anni è diventata una vera e propria
amicizia, della quale sono felice ed onorata. Lo chiamo spesso per
chiedergli consigli, pareri, e non è raro che qualche volta
si esca tutti insieme per una bella pizza, anche con gli Osanna e
mio marito. C’è un’atmosfera bellissima, rilassata
e molto goliardica. Lino ha una personalità eccezionale..è
un grande musicista, un amico sincero, ed è anche un imprenditore
della musica. Organizza da 17 anni l’Afrakà Rock Festival,
uno dei più longevi in Italia, che ha visto la partecipazione
tra gli altri di artisti come Emerson, Palmer, gli Asia, Brian Auger,
Steve Hackett, Jorma Kaukonen, Jenny Sorrenti, Edoardo Bennato, Andrea
Braido... impossibile nominarli tutti.
Mi piace ricordare la tua presenza nel dvd degli Osanna, mi
ha veramente emozionato la tua interpretazione del brano “A
Zingara”, lo stesso Vairetti mi ha detto che è stata
la tua interpretazione migliore, cosa ci puoi dire a riguardo?
Una serata magica. Ero emozionatissima e felice, molto difficile da
descrivere e spiegare. Ho cantato ‘A Zingara molte volte con
gli Osanna, quindi non era quella la novità. Era l’atmosfera
elettrica e frizzante che si respirava in tutto il teatro. Dietro
le quinte, era una bolgia di colori e di allegria. C’erano i
ragazzi dell’orchestra e quelli della banda che provavano le
loro parti con un risultato di suoni dissonanti e contemporanei spaventoso.
David Jackson andava in giro scattando selfie con tutti, Antonella
Morea e Giampiero Ingrassia declamavano ad alta voce. Lino vestito
da “pazzariello” si truccava il viso e intanto dava al
regista le ultime direttive sulla scaletta dello spettacolo, mentre
il manager inseguiva tutti noi per farci fare l’intervista che
doveva essere inserita negli special del DVD. Gianni Leone e Tito
Schipa jr. chiacchieravano nel camerino, e i ragazzi degli Osanna
bussavano alla porta con gran rumore perché dovevano finire
di cambiarsi, e di truccarsi. Sul palco, durante il sound check, i
cameramen provavano la telecamera, quella col braccio lunghissimo
che ogni tanto ci passava vicino come una giraffa enorme e minacciosa..questo
circa una mezz’oretta prima. Poi quando è iniziato lo
spettacolo, col teatro strapieno, ho cominciato a sentire l’adrenalina
che saliva, inesorabile. Toccava a me aprire la galleria degli ospiti..
Gianni Leone mi ha dato una caramella e mi ha detto – Vai! –..
sono uscita sul palco, e ho dato tutto quello che potevo. Mi sentivo
come in una bolla d’aria, molto presente e molto lontana.. l’unico
pensiero definito era che non volevo essere in nessun altro posto
al mondo, e che lo scambio di sensazioni tra noi e pubblico era piacevole
ed appagante come un’abbuffata natalizia.
Nell’intervista precedente hai parlato dell’esperienza
coi Presence come di un’esperienza in qualche modo conclusa,
vi siete sciolti in via definitiva o c’è la possibilità
di rivedervi ancora insieme?
Stiamo preparando il nuovo disco, con molta calma e con una nuova
serenità. Qualche anno di pausa ci ha fatto bene. Dal 1990
al 2008 abbiamo registrato 6 album in studio, più uno dal vivo.
Avevamo bisogno di tirare un po’ il fiato e riprenderci le nostre
vite.. ora la voglia di suonare di nuovo insieme è tornata,
c’è un bel lavoro da tirare su e sicuramente la mia collaborazione
con loro continuerà per molto tempo ancora.
Sei già al lavoro su idee nuove o adesso ti stai prendendo
un po’ di riposo?
La testa non si ferma mai, il pianoforte è lì che aspetta..
sì mi sono riposata un po’, ma a volte costa più
fatica fermarsi. Con Aradìa e con Big Red Dragon ho scoperto
un lato del mio lavoro che finora non avevo mai sperimentato, cioè
il lavoro di composizione e di arrangiamento. Mi appassiona quasi
più che cantare, è bellissimo vedere la tua “creatura”
che prende forma, fino a diventare un brano completo in ogni dettaglio.
È molto diverso rispetto ad essere la cantante di un gruppo,
è una cosa di cui non mi stanco mai. Sto organizzando i concerti
per l’estate, e mi piacerebbe realizzare qualcosa da portare
in teatro. Non un musical e nemmeno un’opera rock, qualcosa
che assomigli un po’ a tutt’e due, ma senza perdere l’immediatezza
del concerto.
Ultimamente, anche a causa della crisi che ci attanaglia,
sembra sempre più difficile portare avanti qualsiasi discorso
e molti stanno perdendo entusiasmo, tu invece esci con un nuovo disco,
è un segno di speranza nel futuro?
Capisco benissimo la tentazione di abbandonare, specie quando si cerca
di fare qualcosa che assomigli all’arte, e non un prodotto di
facile consumo. Per suonare prog devi essere preparato, studiare molto,
allenarti continuamente per mantenere un buon livello tecnico, insomma
dedicare la tua vita e tutto il tuo tempo alla musica. Poi quando
ti senti pronto e cerchi di mettere in pratica le tue idee incontri
una marea di ostacoli, a volte del tutto imprevisti. Per esempio c’è
tutta una generazione di ragazzi, anche più di una, che ha
scoperto la musica su Internet e non ha mai comprato un disco in vita
sua. L’opinione generale ormai è che la musica sia gratuita.
Nessuno si ferma un attimo a pensare che dietro ogni brano, ogni canzone,
c’è un lavoro enorme e faticoso, e che il musicista non
è una specie di mutante privo di stomaco e dovrebbe essere
pagato per questo lavoro. Inoltre viviamo in un’epoca di cattivi
esempi, e chi cerca di impegnarsi viene definito pedante o addirittura
sfigato. È il mondo al contrario! Infine, per un discorso puramente
anagrafico, tutti i musicisti che abbiamo amato e che ci hanno insegnato
tante cose con la loro musica se ne stanno andando.. Penso all’improvvisa
scomparsa di Francesco Di Giacomo del Banco, che ha lasciato tutti
senza parole.. anzi lasciami cogliere l’occasione per ricordarlo
qui, con estremo affetto e riconoscenza. Allora io dico, non tocca
forse a noi fare in modo che tutto questo non muoia? Finché
la suoniamo, questa musica non finirà mai! Ci tocca quest’eredità,
prendiamola!
Vorrei dire a tutti quelli che stanno perdendo entusiasmo che abbandonare
non è la soluzione, anzi diventa un disastro peggiore. Si ritorce
su di te. Perdi l’identità, non sei più credibile
se fai qualcosa in cui tu per primo non credi. Proprio un genere tanto
trascurato come il prog ti può aiutare.. chi lo segue vuole
il disco, non sa nemmeno cosa voglia dire scaricare gratis. Ti ama
per la tua musica, ti ama così come sei. Non se ne frega niente
di quello che pensi, da che parte stai, quanti anni hai e con chi
te la fai se la tua musica gli trasmette delle emozioni pure, e lo
fa stare bene. Non ti chiede altro.. questo è un tesoro inestimabile
da custodire. Non so se è anche un segno di speranza nel futuro,
ma so che il prog è stato definito morto e sepolto venti anni
fa, e invece ci sono usciti migliaia di dischi nuovi in questi anni,
e ci sono tante cover band di prog che suonano nei locali e molte
di loro presentano anche materiale inedito durante i concerti. Ho
detto tante volte che secondo me il prog è la lirica del futuro,
per questo suo aspetto teatrale che accomuna i due generi. Anche il
jazz era finito, ed ora è un corso di laurea universitario
e si suona nei teatri d’opera di tutto il mondo. Potrebbe essere
questa la strada? Non lo so, ma so di sicuro che il silenzio farebbe
del male soltanto a noi. Ogni cosa ha due facce. Il web è un
contenitore di musica gratis? Ok, è anche un veicolo pubblicitario
poderoso. Fai dei difetti i pregi, prendi il meglio dal peggio. E
poi, in fin dei conti, se è questo che ti piace suonare, tutto
quello che devi fare è suonare. Suonare di santa ragione!
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Recensioni: Aradia; Big
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