Ecco un disco che avevo molta voglia e curiosità di ascoltare,
ci sono voluti quasi quattro anni alla Baccini per dare un seguito
al superlativo Aradia, un disco che ho apprezzato profondamente, e
in questo tempo la cantante partenopea ha consolidato il suo percorso
con esperienze arricchenti. Oggi la Baccini ha fondato una band al
femminile con una sola presenza maschile alle chitarre, che troviamo
in questo disco, ma nel disco non mancano tutta una serie di collaborazioni
che nobilitano l’album, anche se sarebbe comunque stato un lavoro
più che meritevole anche senza “special guests”.
Si va dal grande Christian Decamps degli Ange a Steve Sylvester dei
Death SS, ci sono Lino e Irvin Vairetti degli Osanna e Roberto Tiranti,
c’è Sonja Kristina dei Curved Air e l’amico Enrico
Iglio dei Presence e ancora Elisa Montaldo e Aurelio Fierro Jr.
Vorrei citare una frase che Sophya ci aveva regalato nella sua bella
intervista del 2009 per iniziare a parlare del suo nuovo lavoro: “…un’anima
in pena non deve chiudersi in se stessa, non deve reagire diventando
mostruosa, deve anzi cercare di conoscere il suo nemico ed affrontarlo
a viso aperto, rendendo proprie le sue stesse armi.”. Perché
ho scelto questa citazione direte voi? Big Red Dragon è un
concept ispirato all’opera visionaria del grande pittore inglese
William Blake e non posso dimenticare la copertina di Death Walks
Behind You, l’immenso album degli Atomic Rooster e mi viene
naturale fare un parallelo tra tutto questo. Blake ha davvero realizzato
dei lavori impressionanti e un altro parallelo mi viene col libro
Lucifer Over London di Antonello Cresti, dove l’autore ripercorre
il percorso di molti artisti inglesi che dalla cultura classica fino
ai giorni nostri sono arrivati ad una passione ricorrente per i temi
legati all’occulto e al soprannaturale. Ascoltando il nuovo
disco della Baccini si respira tutto questo ed altro ancora. Sophya
è passionale, la sua anima partenopea emerge proprio nell’intensità
delle sue composizioni, che spaziano dal prog più classico,
all’hard rock, alla musica sinfonica, con alcuni momenti di
grandissima ispirazione e assoluto valore.
Il disco si compone di tredici brani ed è difficile citarli
tutti anche se mi piacerebbe, è vero che alcuni episodi mi
sono entrati nel cuore più facilmente di altri, già
il connubio iniziale tra classica e rock è da brividi, poi
c’è la passione pervasa di oscurità di “Angel
of the Revelation”, un brano che ci fa toccare tutta la bravura
della nostra. “Satan” è ai livelli di “Come
to the Sabbat” dei Black Widow, ascoltare per credere, mi ha
fatto accapponare la pelle, che assolo di chitarra poi. Ipnotica e
vorticosa è “Love of Hecate”, un altro tocco di
magia. Che dire poi de “La Porta dell’Inferno” di
dantiana memoria? Sophya è riuscita a ricreare il clima spettrale
dantesco come pochi altri, toccante la partecipazione dei Vairetti.
Mi ha colpito molto come Steve ha cantato in “Number”.
Ma ecco che sto cadendo nella trappola di dire qualcosa di ogni singola
traccia. Questo disco va apprezzato per intero, fino all’apoteosi
finale, “Jerusalem”, dove Sophya sembra quasi voler scalfire
il trono di Enya, regalandoci un pezzo di una bellezza poetica molto
raffinata.
La Baccini si dimostra ancora una volta una delle più fervide
interpreti del dark prog, la sua musica ha un respiro lungo, pieno
di richiami culturali, ma fruibile al tempo stesso, davvero difficile
non restarne affascinati, bisogna proprio essere insensibili. GB
Altre recensioni: Aradia; Runnin'
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Recensione solo: Animatesi
Interviste: 2009; 2014
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