BIG COUNTRY
- Live at Tunnel, Milano 28/05/13 |
Quanto ho aspettato questo concerto! Mi sono innamorato del sound dei Big Country fin dai primi anni ’80, allora c’era Videomusic, il primo canale televisivo in Italia che trasmetteva video musicali in rotazione continua e spesso anche di gruppi non commerciali, ed era davvero molto bello, davano spazio a tutti. Eravamo nell’84, a quel tempo girava spesso il video di “The Rose is Sown”, uno dei brani più epici del gruppo scozzese, le loro chitarre che imitavano le cornamuse e i ritmi da marcia militare mi fecero subito vibrare e da allora è stato un amore continuo e crescente. Il mio cruccio era di non essere mai riuscito, e molto probabilmente di non riuscire più, a vedere la band dal vivo, per non parlare poi delle defezioni più recenti, insomma non erano pensieri belli per me, ma in fondo speravo dentro di me che la band non mollasse e stavolta io non mi sarei di certo perso la possibilità di assistere ad un loro show. E infatti, forti di un nuovo album pieno di energia uscito da poche settimane, eccoli di nuovo a calcare i palchi di mezza Europa e sorpresa (per me) anche quello di Milano. |
Puntuale arrivo al Tunnel, un piccolo locale milanese vicinissimo alla Stazione Centrale, quindi molto comodo da raggiungere (e pensare che i Big Country hanno spesso suonato di spalla ai Rolling Stones, di fronte a ben altre platee), mi sono così potuto piazzare in prima fila sotto il palco, che emozione. Comunque le dimensioni ridotte del locale mi hanno riportato alla mente i primi tempi in cui i gruppi degli anni ’80 si esibivano nei piccoli locali londinesi a stretto contatto col pubblico. La serata del martedì non era certamente favorevole e il pubblico, composto per lo più di gente della mia età, non era numeroso, comunque il Tunnel era pieno e la band, una volta salita sul palco, non si è risparmiata un solo secondo. |
In scaletta i Big Country hanno messo diciotto brani, di cui otto tratti dall’ultimo disco, il primo scelto è stato “Return” e non poteva essere diversamente, un titolo che sembra fatto apposta, il pezzo poi è anthemico e il pubblico ha subito risposto con calore, tutti si sono messi a zompettare al ritmo incalzante degli scozzesi. Di qui in poi il concerto non ha subito cali o cedimenti, i brani sono stati eseguiti uno dietro l’altro senza pause, solo ogni tanto il cantante spiegava qualcosa su alcuni brani in particolare, ma l’energia è stata un flusso continuo. Il secondo brano proposto è stato “Harverst Home” il primo composto dalla band e anche il primo singolo, come dire il futuro (il brano precedente) e il passato idealmente uniti e la band c’è, il cantante Mike Peters (The Alarm) ha dato il meglio di sé e devo dire che mi è piaciuto molto per tutto il concerto, ha cantato con grande intensità e trasporto. |
I classici del gruppo ovviamente c’erano, da “Fields of Fire” a “Look Away”, da “Chance” alla classicissima e irrinunciabile “In a Big Country”, che ha chiuso il concerto, ma c’erano anche brani minori e poco conosciuti come “Restless Natives” e “Wonderland”. Strepitose poi le nuove canzoni come “The Journey”, eseguita molto più rock dell’originale e “Last Ship Sails”, per non parlare di uno dei momenti più toccanti dello show, quando Mike ha ricordato Stuart e ha cantato la ballata a lui dedicata “Hurt”. Il gruppo non ha fatto pause e non ha concesso bis, ma ha eseguito la scaletta tutta d’un fiato e alla fine tutti e cinque i membri hanno preso in mano il microfono per salutare il pubblico, un modo insolito di chiudere lo show, che mi è piaciuto molto e nessuno si è lamentato per la mancanza degli “encores”. |
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