INTERVISTA
A TOMAS BODIN
di Giancarlo Bolther
Ciao Tomas, abbiamo fatto un’altra intervista circa due anni
fa, cos’è cambiato nella tua vita in questo tempo?
Sono cambiate molte cose. Mi sono trasferito in campagna
in una fattoria ed è così bello, ho delle mucche e altri
animali, è un ritorno alla natura per me e mi piace da matti.
Il mio morale non è mai stato così buono ed è
un momento topico per scrivere musica.
Il
tuo nuovo album solista mi ha sorpreso, perché è molto
diverso dai due precedenti e secondo me hai fatto un lavoro veramente
impressionante…
Sono d’accordo con te, è veramente diverso dai miei lavori
precedenti. Quello che voglio fare da adesso in poi è di diventare
più serio e di mostrare alla gente cosa sono capace di fare,
la musica che scrivo può essere definita come progressive epic
e penso che sia una cosa molto buona in questo periodo della mia vita
ed è il momento giusto per iniziare questo.
Il concept sottostante l’album è piuttosto complesso
e profondo, quanto tempo hai impiegato a realizzarlo?
La prima intuizione di questo progetto mi è venuta circa due
anni fa, ma ho potuto lavorarci sodo solo lo scorso anno in particolare
gli ultimi sette mesi. Ho lavorato dalle dodici alle quattordici ore
al giorno ed ero totalmente assorbito e ossesionato da questo album.
Mi svegliavo nel mezzo della notte, tipo verso le tre, e mi veniva
un’idea tipo “ecco come impostare il solo!” e, siccome
ho uno studio a casa, mi alzavo dal letto e andavo in studio a lavorare
sull’idea che mi era venuta. Puoi immaginarti mia moglie, sembrava
totalmente impazzita (risate). Per me è stata un’esperienza
molto importante e per molti versi completamente nuova.
Penso che tu abbia fatto un disco di grande musica prog e
mi sono chiesto, “perché non ha realizzato questa musica
con i Flower Kings”?
Non c’è un motivo particolare. Siamo una band fortunata,
perché al nostro interno abbiamo tre o quattro persone che
sono capaci di scrivere molta musica. Sia io che Roine siamo molto
produttivi e lo siamo stati per molti anni, fino ad oggi mi ero occupato
principalmente di musica strumentale, ma dentro di me sentivo di poter
scrivere anche altra musica. Noi tutti amiamo veramente quello che
facciamo e non cerchiamo di fare tanti progetti solo per ricavarne
dei soldi. Deve essere un divertimento poter fare musica, ma se devi
fare musica per vivere allora diventa una cosa poco naturale.
Il titolo del tuo album è “I Am”, chi è
veramente Tomas Bodin?
Tomas Bodin è un personaggio veramente complesso. La mia vita
è iniziata in modo molto duro, mio padre era alcolizzato ed
è stata veramente molto dura, penso che solo chi ha avuto un
padre alcolizzato può capire cosa intendo dire. All’età
di tredici anni ho iniziato anch’io a consumare droghe e alcool
per fuggire dalla realtà e l’ho fatto fino all’età
di ventisette anni. Poi ho deciso che dovevo riappropriarmi della
mia vita, che dovevo imparare a capire chi e cosa ero, perché
provavo certe emozioni e perché ero spinto a fare determinate
cose. Il motivo stesso per cui non avevo mai scritto dei testi autobiografici
prima era perché dovevo essere molto onesto con me stesso ed
avevo bisogno di distaccarmi per essere lucido e sereno.
Di cosa parlano esattamente i testi dei brani?
La storia di I Am inizia prima della nascita, tratta di un “posto”
che non so di preciso “dove” sia, comunque non è
sulla terra. Poi c’è la nascita e il testo dice subito
che non è stata una partenza facile. Il ragazzo deve usare
subito delle pillole e si rende conto che non è una buona cosa
dover dipendere da queste, bisogna cambiare prima che sia troppo tardi
e cerca aiuto in qualcosa di superiore, qualcosa come Dio e questa
è per lo più la prima parte dell’album. La seconda
parte parla di come fare per cambiare la tua vita in modo drastico,
cosa che non è per niente facile, bisogna essere preparati
per poterci riuscire. A volte per riuscire a farlo, come è
capitato a me nella mia vita, bisogna arrendersi in un certo senso,
perdere il controllo, perché se combatti per ottenere questo
spesso cadi nella paura di perdere il controllo e non riesci ad utilizzare
le energie positive che hai dentro. La terza parte è una specie
di retrospettiva, inizia con quando ero bambino, è come un
dialogo con mio padre, ma poi viaggio anche nel futuro, fino a guardare
alla mia morte, anche se spero che avverrà fra molti anni (risate),
è un cerchio che si chiude, parte da un inizio e arriva fino
alla fine. Per alcune persone questo sembra strano, è come
se avessi avuto una premonizione della mia morte, ma non è
niente di tutto questo, sono solo delle riflessioni messe in musica.
In definitiva è la storia della mia vita, ma è anche
un’affermazione del mio lato spirituale, io credo in Dio, anche
se non credo in una Chiesa. La differenza è che credo ci sia
un solo Dio per tutta l’umanità, mentre ci sono cinque
grandi religioni nel mondo, ma c’è un solo Dio per tutte.
Non è una coincidenza se Darwin ha formulato la teoria dell’evoluzione
dell’uomo, non è una coincidenza se Einstein ha formulato
la teoria della relatività, perché sono convinto che
Dio stesso ha dato a loro l’input per andare nella giusta direzione
per fare quello che hanno fatto. Non vedo nessun conflitto fra la
religione e la scienza. Lo stesso concetto è espresso nella
copertina del disco, la scritta I Am sta nel centro, mentre attorno
ci sono molti simboli e questi simboli riguardano sia la religione
che la scienza e cose del genere. La scritta I Am ha due significati,
identifica l’uomo e identifica Dio, se prendi la Bibbia nel
passo dove Mose gli chiede “Che sei” trovi che Dio gli
risponde “Io sono colui che è” (Esodo 3, 13-14),
usa le parole I Am come nome, una cosa molto ingegnosa e intrigante.
A proposito della copertina, ci sono due frecce che indicano
due fra i vari simboli disegnati, perché?
Le frecce hanno due significati, il primo è che simboleggiano
un orologio, quindi sono un simbolo del tempo e poi indicano il simbolo
della reincarnazione in cui io credo. A proposito del tempo il riferimento
va alla scienza e alla teoria della relatività, alcuni scienziati
credono che viviamo in un universo senza limiti temporali, ma il paradosso
è che il tempo non esiste nel senso che ora può essere
sia il passato che il futuro, dipende dal punto di osservazione. Un
punto di vista piuttosto complesso, se fai una ricerca in internet
sui termini “time arrows” puoi trovare molti testi interessanti
al riguardo. In un testo c’è una frase che spiega questi
concetti: “Il passato è ora e ora è il tempo che
ho avuto”, in questo senso il tempo può essere qualsiasi
cosa, per me è una cosa che ha un suo senso, ha a che fare
con la religione.
Mi piace sentire un musicista che parla di spiritualità,
non è molto frequente…
Più imparo cose nuove sulla vita e sull’essere umano,
grazie anche ai molti viaggi che faccio, e più mi rendo rendo
conto che quando incontro una persona non importa questo crede in
Allah o in Budda, perché mi rendo conto che siamo tutti molto
simili, ci comportiamo in modo molto simile, abbiamo sentimenti molto
simili, preghiamo Dio per motivi molto simili e questo mi convince
sempre di più che abbiamo tutti un unico Dio sopra di noi.
Pensa a quando Giovanni Paolo II ha pregato in Assisi con i rappresentanti
di tutte le grandi religioni, stiamo entrando in una nuova grande
era, la globalizzazione ci porta a viaggiare molto velocemente da
un paese all’altro, abbiamo contatti molto veloci con persone
di culture diverse e impariamo sempre di più sulle altre religioni
trovando che alla fine non ci sono delle differenze così grandi
fra le diverse religioni. Mentre invece ci sono grosse differenze
a livello politico, ma non a causa delle religioni, per cui sono convinto
che i conflitti dell’umanità siano dovuti a incomprensioni
politiche e da motivi di natura economica e non siano causati dalle
religioni (ndr condivido pienamente questo punto di vista), anche
perché nei testi sacri delle varie religioni nessuno invita
alla violenza. Infatti Gesù stesso insegna che non devi mostrare
agli altri quanto sei fedele, ma che puoi trovare Dio quando ti ritiri
in preghiera nella tua stanza (Matteo 6, 6), non hai bisogno di cose
grandi, basta che chiedi di trovarlo in te stesso e lo puoi trovare.
Mentre la politica è tutta una questione di soldi, tutto è
legato esclusivamente ai soldi e se tutto questo non viene fermato
porterà le persone ad un grande disastro.
Tornando alla musica, nel disco hai arrangiato le linee vocali
per tre diversi cantanti in modo molto interessante, come hai affrontato
la cosa?
Le lead vocals sono state affidate ad Anders Jansson, un vecchio amico
di mia moglie, me lo aveva presentato un paio di anni fa e aveva esordito
su Sonic Boulevard, non aveva cantato dei testi veri e propri, ma
mi accorsi subito delle sue grandi potenzialità e volevo lavorare
ancora con lui. Una cosa molto importate per i testi è che
non bisogna focalizzarsi sulle singole note, ma occorre tener presente
il vero significato delle parole, che sono molto importanti per la
comprensione del testo. Quindi ho veramente apprezzato il suo contributo,
ha svolto un lavoro notevole. Un altra vecchia amica è Helena
Schonning, che è molto portata per le ballate, simile a Kate
Bush, era perfetta per quello che avevo in mente. Infine ha cantato
anche mia moglie Pernilla, che ha interpretato la parte della madre
e del figlio, la cosa curiosa è che Pernilla non è una
cantante. Avevo provato con un paio di cantanti, ma non andavano bene,
perché mettevano troppa enfasi. Allora una sera mia moglie
mi chiese di poter provare. Le risposi “Cosa?” e lei “Lasciami
provare”, e io ribadii, “Ma non sei una cantante”,
ma lei ha insistito ancora, così le abbiamo dato un microfono,
abbiamo preparato per registrare e abbiamo fatto un paio di prove
per mettere tutto a posto. Era così rilassata, probabilmente
perché non era una vera cantante, che mi è piaciuta
molto.
A questo punto vorrei parlarti anche degli altri musicisti. Alle chitarre
ritroviamo JJ Marsh, che aveva già suonato con me anche sul
disco precedente. Ho pensato subito a lui, che principalemente suona
con Glenn Hughes, per la sua impostazione propriamente rock, riesce
a suonare molto heavy, rispetto a Roine che è molto flower
power per capirci, Jocke è più rock ‘n’
roll e mi piace molto come suona la chitarra. Volevo che questo album
suonasse molto rock e così la scelta di Marsh era naturale.
Al basso troviamo come sempre Jonas Reingold (Flower Kings), il motivo
per cui lovoro con lui è molto semplice: è assolutamente
il migliore! E’ difficile trovare in Svezia un bassista con
il suo talento, quando compongo musica mi piace pensare a delle linee
di basso molto difficili e conto sul fatto che Jonas è sempre
in grado di suonarle e poi mi piace molto il suo sound molto rock.
Poi c’è un nuovo nome che si è affacciato nel
mondo prog che è Marcus Liliequist, il nuovo batterista dei
Flower Kings, avevo parlato con Jonas per le parti di batteria spiegandogli
che Zoltan era troppo jazz per quello che avevo in mente, così
Jonas mi disse che aveva il batterista che stavo cercando, era Marcus
appunto. Abbiamo registrato le parti di batteria in Malmo nel sud
della Svezia nello studio di Jonas è mi è piaciuto molto
il modo di suonare di questo musicista, così chiamai Roine
per dirgli che dovevamo provare Marcus come batterista, in quanto
avevamo già deciso che Zoltan non avrebbe più fatto
parte dei Flower Kings e questo è quanto è successo
e Marcus sta suonando veramente molto bene.
In effetti ho molto apprezzato la sezione ritmica del tuo
album, di Jonas ho anche il disco solista Universe è trovo
che sia veramente molto bravo, ma ho apprezzato molto anche il nuovo
drummer, perché sono sempre stato un fan del rock, anche se
mi piaceva lo stile di Zoltan…
Zoltan è un batterista veramente molto dotato e si farà
strada nel mondo dei batteristi a livello mondiale, ma il suo stile
è troppo jazz per il nostro sound, lui è più
per le improvvisazioni, ma noi vogliamo spingerci più verso
la musica rock in futuro. Mi sono reso conto di quanto sia diverso
lo stile di un batterista jazz da quello rock durante il nostro ultimo
tour negli States e penso che i Flower Kings non abbiamo mai avuto
un suond migliore di quello attuale.
State già scrivendo del nuovo materiale?
No, non ancora, inizieremo a registrare il prossimo album in Novembre.
Sarà sicuramente un buon disco.
In un certo senso il tuo album mi ha ricordato, per le tematiche
trattate, l’ultimo Be dei Pain Of Salvation.
Si, lo conosco, ma mentre scrivevo il mio album non ne sapevo niente,
è stata una coincidenza. Però i due dischi non hanno
niente in comune, parlano entrambe di Dio delle domande sulla fede
e hanno dei contenuti spirituali nei testi, ma musicalmente sono molto
diversi. Quello che penso però è che non sia poi una
coincidenza così casuale che sia io che Daniel abbiamo fatto
due dischi sulle stesse tematiche, sono convinto che siamo stati ispirati
dall’Alto, può darsi che sia solo una coincidenza, ma
io non ne sarei poi così sicuro.
Che tipo di persona è Daniel (nda Daniel Gildenlow,
oltre ad essere leader dei Pain Of Salvation, suona anche nei Flower
Kings), anche in merito a queste tematiche?
Ho parlato di questi argomenti con Daniel, ma non ho una risposta
precisa da darti. La grande differenza fra Be e I Am è che
Daniel guarda il mondo con la sua testa, usa la logica e il ragionamento,
mentre io devo usare i sentimenti per scrivere e guardo il mondo con
il cuore. Daniel è terribilmente intellettuale, per scrivere
i suoi testi gli basta leggere dei libri. Io, invece, ho bisogno di
sperimentare una cosa per poterne scrivere. Penso che lui creda in
Dio, ma non so quanto e come.
I Flower Kings, i dischi solisti, i tanti progetti trasversali, c’è
chi pensa che tutte queste attività possano impoverire gli
artisti alla lunga?
No, non credo che la nostra creatività sia diminuita, perché
io in questo momento mi sento più creativo di quanto lo sia
mai stato in passato. Amo quello che faccio e spero di poter continuare
a lungo, sarebbe una pazzia fermare tutto questo perché qualcuno
pensa che sia eccessivo. Puoi chiedere ad un pittore di smettere di
dipingere perché fa troppi quadri? No.
GB
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