I veronesi Bullfrog hanno superato con la giusta grinta il fatidico
terzo album, che per ogni gruppo ha sempre rappresentato il limite
da raggiungere per dimostrare di essere una band solida, e ci consegnano
il quarto lavoro in studio. Il giro di boa c’è stato,
la band per questo appuntamento ha voluto cambiare le carte in tavola
ed ha affidato il disco ad una label americana, un’operazione
concordata con l’amico Gianni Della Cioppa, che aveva pubblicato
i precedenti lavori con l’Andromeda Relix, però è
un passo davvero importante, che prova anche la bontà del nostro
gruppo. Da notare che è la Grooveyard è stessa label
a cui è approdato anche il bravo Jimi Barbiani, che troviamo
anche come ospite nella title track di questo disco, insieme ad altri
nomi come il chitarrista Fabio Serra, Simone Bistaffa all’hammond
e altri ancora.
Il disco si apre con un bel giro pesante di basso, quasi stoner, “No
Salvation” è un brano saturo, con un bell riffing di
chitarra e molto feeling, ottima apertura. “Too Bad For Love”
invece è un potente rock blues, mi piace molto il suono della
chitarra di Zago, sfido chiunque a dire che si tratta di un disco
italiano. “Isolation” è puro hard rock, che si
tinge di prog quando entra il flauto di Bruno Marini. “Slow
Trucker” ricorda gli ZZ Top, non è la prima volta che
il torrido sound texano dei barbuti viene omaggiato dai Bullfrog.
“Clearwater” è un blues rock piuttosto cadenzato,
con delle buone soluzioni armoniche, in fondo rappresenta il marchio
di fabbrica dei veronesi, bello il ponte con l’assolo slide
di Barbiani. “Monster” è un interessante incrocio
tra Deep Purple e BOC, con buoni intrecci vocali. “Say Your
Prayers” è una ballata blues molto classica, vagamente
alla Lynyrd Skynyrd. Con “Lorraine Lorraine” si torna
ad un rock più ritmato. Ma l’atmosfera più sanguigna
tipica della band la ritroviamo in “South of the Border”,
con un hard blues gravido di feeling. “Long Time Boogie”
è più easy, pur mantenendo suoni molto ruvidi, ma le
cose migliori erano all’inizio del cd. Chiude l’acustica
“Better Days”, un brano introspettivo che suggella un
disco fatto con tanta passione. Come ho detto la parte migliore è
la prima, la seconda è un po’ in calando, ma senza mai
andare troppo in basso.
Credo che i Bullfrog abbiano fatto bene a produrre all’estero
il loro nuovo cd, il nostro è un mercato sempre più
asfittico, ma anche perché è giusto che facciamo sapere
fuori dai nostri confini che sappiamo fare del buon rock. GB
Altre recensioni: Flower on the Moon;
The Road To Santiago; Beggars
& Losers
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