Il southern rock è nuovamente approdato sul nostro sacro suolo
con due tra le più significative formazioni di questo storico
movimento musicale, i Molly Hatchet e i Lynyrd Skynyrd, mentre di
supporto c’erano gli italiani Betta Blues Society. Ogni recensione
di formazioni storiche per me diventa occasione di un viaggio nella
memoria, ma temo che in questo caso non mi basterebbero cinque pagine
di un magazine per raccontarvi cosa significano questi artisti e il
peso che hanno avuto nella storia del rock. Il Southern Rock è
stato uno dei più grandi movimenti musicali, che ha avuto tanti
detrattori quanti die hard fans. Le band dedite al southern erano
simbolo di ribellione e spesso erano più delle utopistiche
“comuni” che non il classico gruppo in cerca di fama e
soldi facili e la loro filosofia di vita ha influenzato larghe schiere
di giovani, spesso anche con risultati non sempre brillanti, ma che
hanno creato una fratellanza difficilmente riscontrabile nei fans
di altri generi musicali. Comunque molti al di fuori degli appassionati
di rock non conoscono il nome dei Lynyrd, ma credo che non ci sia
davvero nessuno che non abbia sentito, almeno una volta magari in
qualche film (da Forrest Gump a Radiofreccia, ce ne sono davvero molti
fino ad arrivare ai simpatici Simpson), l’inno “Sweet
Home Alabama”, un’icona rock che brilla ancora dopo tanti
anni di luce propria.
Ma andiamo con ordine, consapevoli che il cuore mi giocherà
degli scherzi durante questo viaggio. La data del 13 giugno 2012 apre
le danze della terza edizione del festival 10 Giorni Suonati, un happening
organizzato con grande cura dalla Barley Arts, che in questa occasione
festeggia anche i trent’anni di onorata attività. Il
management non ha voluto solo proporre della buona musica, ma tutta
una serie di eventi correlati, incontri con autori, mostre, l’Isola
del Gusto e altro ancora, tutto scelto con grande cura, gli stand
del gusto per esempio proponevano birra artigianale e cibi esclusivamente
a base di prodotti biologici certificati e a filiera corta, che vuol
dire la massima garanzia sulla provenienza, sappiamo bene quante frodi
vengono perpetrate sul biologico e poter incontrare i produttori di
persona non è cosa da poco. Gli autori presenti appartengono
a vari generi letterari dai romanzieri ai musicofili, poi la mostra
di memorabilia del trentennale della Barley, insomma un ventaglio
di proposte davvero ricco e stimolante.
Il concerto è stato aperto dai toscani Betta Blues Society,
che hanno proposto uno show acustico con una scelta di classici del
blues non scontata o banale. Le citazioni andavano dal grande JB Lenoir
a Memphis Minnie al più attuale Ray Charles, la singer del
gruppo Elisabetta Maulo ha guidato il pubblico in questo ideale viaggio
nell’America del blues con intensità e passione e il
pubblico ha mostrato di gradire. Davvero una buona performance, che
sicuramente darà visibilità a questa band che merita
attenzione, anche se devo dire che il loro genere non calzava del
tutto con quanto si sarebbe ascoltato dopo, ma la loro bravura ha
conquistato senza fatica il pubblico presente.
Intanto il cielo iniziava a farsi plumbeo, stavano per salire sul
palco gli epici Molly Hatchet. Perso per strada lo storico singer
Danny Joe Brown (morto nel 2005 a causa di un blocco renale, causato
probabilmente dal diabete di cui era affetto), la band ora alla voce
ha il robusto Phil McCormack, il gruppo non si è mai sciolto
e ha portato avanti la sua carriera con convinzione e fermezza, anche
negli anni in cui il southern sembrava aver perso la carica rivoluzionaria
di un tempo. La band di Jacksonville ha ripetuto all’infinito
i cliché basati sul machismo e sullo spirito sudista, mantenendo
sempre una sua dignità e sul palco hanno subito mostrato che
la voglia di rockare non è diminuita con gli anni. Il corpulento
singer non mi è piaciuto molto, voce molto impastata e presenza
scenica un po’ faticosa… gli anni migliori sembrano essersene
andati per lui, ma il resto della band ha suonato in modo impeccabile.
La platea si è infiammata subito fin dall’iniziale “Whiskey
Man”, poi una serie di brani storici alteranti ai nuovi, che
non hanno sfigurato al confronto. Show potente e muscoloso, che ha
tenuto il pubblico sotto il palco nonostante con “Justice”
fosse iniziata una pioggia che si è fatta via, via sempre più
insistente e fastidiosa. Sembrava quasi di essere entrati in una delle
loro copertine di dischi, che hanno sempre avuto un cielo pieno di
nuvoloni minacciosi, quando poi verso il finale si sono visti anche
dei lampi, sembrava la scenografia perfetta. I Molly Hatchet hanno
regalato tante emozioni e, nonostante la pioggia, la loro esibizione
resterà nel cuore dei presenti.
La pioggia intanto sembrava non dar tregua e ha bersagliato i presenti
durante tutta la pausa, insieme al nubifragio poi c’era anche
un vento che dava davvero fastidio. Ma la cosa più sorprendente
è stata che come hanno iniziato ad esibirsi i Lynyrd la pioggia
ha smesso finalmente di tormentare i presenti, quasi come per magia,
perché ormai tutti si erano rassegnati al peggio.
La band negli anni è diventata come una grande famiglia, alla
fine lo spirito delle “comuni” in qualche modo è
sopravvissuto e ha fatto la fortuna di questi artisti, e come per
i Molly anche qui abbiamo un solo superstite originale, anche se pochi
sanno che il chitarrista Ricky Medlocke (ex Blackfoot) aveva fatto
parte di una delle primissime formazioni dei Lynyrd anteriori al disco
di debutto. Alla voce oggi c’è Johnny Van Zant, fratello
minore del compianto Ronnie, morto nel terribile incidente aereo,
Johnny ha davvero una bella voce e mi è piaciuta molto la sua
interpretazione precisa e intensa, il resto della band è praticamente
un supergruppo con grandi musicisti. Manco a dirlo anche i Lynyrd
hanno suonato in modo ineccepibile, grandissima tenuta di palco e
tonnellate di feeling da buona jam band, i nostri hanno suonato con
classe sopraffina senza mai fare pause tra un brano e il successivo.
I grandi classici c’erano tutti, così come anche canzoni
più recenti come “Skynyrd Nation”, tutti ottimi
esempi di rock confederato, ma l’emozione diventava palpabile
quando il pubblico cantava a squarciagola i classici più amati
come le bellissime ballad “Simple Man” e “Tuesday’s
Gone”, il concerto è diventato ben presto una grande
festa per tutti, sia sul palco che sotto e il disagio di pochi istanti
prima è stato ben presto cancellato. Apoteosi finale con l’inno
“Freebird”, che non poteva mancare.
Che dire ancora di questa grande serata? Possono raccontarvi che il
rock è morto e che i vecchi dinosauri dovrebbero deporre le
armi, ma fintanto che le “vecchie” glorie del rock sono
capaci di regalare emozioni come quelle provate in questa occasione,
tutti gli amanti del vero rock possono dormire beati, c’è
ancora tanta musica da ascoltare e da vivere per loro. GB
SET LIST Molly Hatchet
1. Whiskey Man
2. Bounty Hunter
3. Gator Country
4. American Pride
5. Fall Of The Peacemakers
6. Justice
7. Drum Solo
8. Beatin’ The Odds
9. Been To Heaven Been To Hell
10. The Creeper
11. Jukin’ City
12. Dreams I’ll Never See
13. Flirtin’ With Disaster
SET LIST Lynyrd Skynyrd
1. Workin’ For MCA
2. I Ain’t The One
3. Skynyrd Nation
4. What’s Your Name
5. Down South Jukin’
6. That Smell
7. Saturday Night Special
8. Simple Man
9. Gimme Back My Bullets/Whiskey Rock-A-Roller/The Needle And The
Spoon (medley)
10. Thuesday’s Gone
11. Gimme Three Steps
12. Call Me The Breeze
13. Sweet Homa Alabama
encore
14. Free Bird
Recensioni Molly Hatchet: Warriors
of the Rainbow Bridge; Live
in Hamburg; Justice; Regrinding
The Axes
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