Fra le nuove band che mi aveno colpito sono sicuramente da annoverare
gli inglesi Pineapple Thief, autori di un prog post moderno di ottima
fattura, non a caso li troviamo accasati alla Kscope che ospita alcune
delle formazioni prog più innovative e interessanti di questi
anni, gruppi come Porcupine Tree e Anathema per intenderci. Dello
stile di questi artisti vi abbiamo già parlato nella recensione
precedente, questo disco conferma tutto quanto di buono avevamo trovato,
anzi la band di Bruce Soord (voce, chitarre e programming), Jon Sykes
(basso), Steve Kitch (tastiere) e Keith Harrison (batteria) spinge
l’acceleratore verso nuove sperimentazioni e contaminazioni.
Questo nuovo album è duro e claustrofobico e gira vorticoso
fin dall’iniziale “Nothing at Best”, che gioca a
mescolare suoni elettronici ad un incedere rock essenziale e penetrante,
che martella l’ascoltatore fino all’entrata potente delle
chitarre, la scuola dei Porcupine Tree e degli Anathema si sente,
non che i nostri non abbiano personalità, ne hanno da vendere,
ma aderiscono al sound dei gruppi citati come si aderisce ad un movimento
artistico, ognuno col proprio contributo, ma tutti tesi ad una meta
comune, la definizione di un nuovo modo di intendere la musica prog.
“Wake Up the Dead” ripropone ancora la commistione di
suoni elettronici con quelli più tradizionali, la canzone non
è male, ma è un po’ ripetitiva, ma richiede più
ascolti per essere interiorizzata a dovere. Molto più bella
la romantica “The State We’re In”, retta da un bel
giro armonico, che cattura fin dalle prime battute. “Preparation
For Meltdown” mostra delle progressioni apocalittiche molto
ipnotiche, davvero una prova di forza, anche se questo tipo di crescendo
comincia ad essere un po’ abusato nel genere (vedi la recensione
dell’ultimo Anathema), i suoni comunque sono personali. Un delicato
arpeggio acustico apre la poetica “Barely Breathing”,
che pennella melodie bellissime, molto rilassanti e solari. Suoni
duri e aspri tornano subito dopo con “Show a Little Love”,
riffing stoppati si alternano a partiture più rilassate, mi
vengono in mente anche formazioni svedesi come Anglagard e Anekdoten.
La track eponima apre poetica, poi prende quota con un riff che cresce
con una buona intensità, belli i suoni. Altri due brani chiudono
il cd, senza aggiungere molto a quanto già ascoltato, se non
che ci sono molti più momenti psichedelici, come in “3000
Days”, che possiede anche una buona complessità, ma anche
“So We Row” è bella acida e come chiusura non è
niente male.
I Pineapple Thief si confermano band dal grande talento, anche se
forse attualmente sono troppo condizionati dai modelli che hanno preso
come riferimento. Comunque questo è un gran disco e questo
è un gruppo da tenere sotto stretta osservazione, le sorprese
non sono certo finite qui. GB
Altre recensioni: Tightly Untold;
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Wilderness
Interviste: 2008
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