I
polacchi Riverside sono un gruppo derivativo, nel senso che il loro
stile è un mix molto evidente di alcune influenze ben riconoscibili,
al primo posto ci sono i Porcupine Tree, poi gli Anathema, gli Opeth
e aggiungerei anche certi Pain Of Salvation. Ora bisogna capire se
c’è vermanete bisogno di un gruppo così, se i
Riverside, che come detto non brillano per originalità, siano
davvero un gruppo da seguire e con quanta attenzione. Con questo album
chiudono la loro prima trilogia e confermano il loro sound profondo,
oscuro, intenso ed emozionale, non negano certo quali sono i loro
punti di partenza, anzi li ritroviamo tutti, ma non sono degli scopiazzatori
che non sanno comporre, piuttosto hanno preso lo stile di altri artisti
e lo hanno fatto proprio, le loro composizioni sono belle, non personali
se volete, ma belle e questo per me li rende interessanti.
L’album è diviso in due parti, la prima è Fearless
e comprende i primi cinque brani, la seconda è Fearland e comprende
i restanti quattro. La partenza del cd prevede subito dei fuochi artificiali
con la lunga e complessa “Beyond the Eyelids”, un incrocio
fra i POS e le atmosfere spaziali dei Pink Floyd, il brano funziona
bene. Meno scorrevole è “Rainbow Box” che propone
delle progressioni molto psichedeliche in chiave metal, questo però
rende il brano suggestivo e interessante. “02 Panic Room”
sembra l’unione dei due brani precedenti e si fanno molto forti
le atmosfere care ai Porcupine Tree, ma trovo il brano un po’
noioso, in particolare nella parte ritmica. Molto emozionante il lento
“Schizophrenic Prayer”, per me uno dei vertici espressivi
dell’album, sicuramente quello che mi è piaciuto di più.
Più standard e poco “Parasomnia”. La seconda parte
si apre con la sonnolenta “Through the Other Side”, un
brano atmosferico, ma anche molto soporifero. Anche peggio è
la parte iniziale della seguente “Embryonic”, che poi
per fortuna aumenta un po’ di ritmo nella seconda parte. “Cybernetic
Pillow” non ha idee e per me è un brano stanco, non ci
siamo. L’ultimo appello è “Ultimate Trip”,
non voglio ripetermi, ma anche in questo caso non trovo motivi di
interesse, il cantante ripete certe soluzioni vocali per la terza
volta, i giri per quanto complessi sono sempre gli stessi, tredici
minuti che alla fine si spera solo finiscano. Insomma ogni brano preso
singolarmente può anche piacere, ma la costruzione del disco
è tutta in calando.
I Riverside sono un gruppo derivativo, si sa che il terzo album è
sempre stato un banco di prova, e con questo disco non hanno dimostrato
di potersi muovere con sufficiente autonomia. Sono bravi, ma il loro
songwriting non è così geniale come si vorrebbe, manca
quel qualcosa che rende un gruppo unico. Da ascoltare prima dell’acquisto.
GB
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