Dei
Riverside sappiamo già che sono degli inguaribili seguaci dei
Porcupine Tree, ma quello che ci sorprende è la tenacia con
cui perseguono il loro cammino artistico e, da un certo punto di vista,
anche della considerazione di cui godono, che è stata riservata
in passato a pochissimi artisti che possiamo definire come loro “derivativi”.
La sorpresa ovviamente è solo parziale, perché questa
band polacca ha dimostrato, disco dopo disco, di avere comunque una
grande personalità e una forte determinazione e questo spiega
in parte il riscontro che hanno ottenuto, ma dalla loro c’è
anche un’ottima preparazione tecnica, che nel prog in particolare
è quantomai indispensabile.
Questo nuovo album è il quarto della discografia di questa
band nata nel 2001 e presenta una curiosità, dura esattamente
quarantaquattro minuti e quarantaquattro secondi, anche il titolo
è composto da quattro parole, dei giochi che denotano una certa
ricerca, nulla comunque di troppo profondo… Non si tratta di
un concept album nel senso classico del termine, c’è
un tema di fondo che è il caos che domina l’uomo moderno,
ma è solo un fil rouge, non un vero tema portante, la musica
riflette questo concetto con atmosfere caustiche, violente, ma che
lasciano anche spazi onirici e sospesi, che vengono puntualmente scossi
da cavalcate infernali, il caos appunto, una forza che dilaga e domina
l’ascoltatore.
In passato ho criticato questa band con una certa durezza e come è
mio carattere mi piace tornare ad ascoltare senza pregiudizi questo
nuovo lavoro, anche con la speranza di potermi ricredere. L’avvio
del disco con il crescendo di “Hyperactive” conferma tutte
le caratteristiche passate della band, in particolare la scuola di
Wilson e soci, ma che dimostra anche che la band mette tutta la propria
creatività nel non voler essere una copia sterile dei maestri.
Il sound come sempre è oscuro, drammatico, senza luci. Come
nella passata trilogia ci troviamo di fronte ad un senso di collasso,
musica che denuncia con pesantezza e forza i mali dell’uomo
di oggi, musica volutamente scomoda e dolorosa, i ritmi sono serrati,
schizofrenici, i fraseggi di basso e chitarra sono incalzanti e cattivi,
ma è tutto orchestrato con grande convinzione e il risultato
convince. Il secondo titolo parla da solo “Driven to Destruction”,
avete altri dubbi? Malinconia espressionista esce da tappeti complessi
di armonie sovrapposte, ottimo prog metal, che ovviamente non è
originalissimo, ma è fatto come si deve. Parti oniriche si
alternano ad altre energiche e tutto ruota con saliscendi continui
che emozionano ascolto dopo ascolto. “Egoist Edonist”
è una suite di tre movimenti, che prosegue il discorso, così
come anche le seguenti e lunghe “Left Out” e “Hybrid
Times”, che espandono i concetti già espressi, aggiungendo
ulteriore profondità a questo ottimo lavoro, in particolare
il finale è tutto in crescendo.
Lo riconosco, ADHD è un ottimo album, suonato con capacità
e passione vere, criticabile per originalità se volete, ma
quando il risultato è così buono come in questo caso
è giusto riconoscere il merito di aver fatto un buon lavoro,
segno che la band è in piena crescita e che anche in futuro
potrebbe riservarci delle importanti conferme. Per i più curiosi
segnalo che l’edizione speciale contiene anche il bonus dvd
Live in Amsterdam. GB
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