Il
singer scozzese Ray Wilson ce l'ha fatta, è finalmente riuscito
a produrre il terzo disco consecutivo con lo stesso moniker (bella
fatica visto che adesso usa il proprio nome). All'inizio degli anni
novanta compone la hit "Inside" ed è un successo
planetario, poi viene chiamato a cantare nei Genesis per uno solo
album prima dello scioglimento definitivo (per il momento), ma la
classe e l'istinto rock del nostro hanno il sopravvento sulle alterne
vicende della sua carriera ed eccolo ancora in pista con un album
introspettivo che segue l'incantevole live acustico del 2002 e l'album
Change dello scorso anno.
Questo disco è più elettrico del precedente, ma la vena
cantautorale e introspettiva è la stessa, un rock piuttosto
semplice, ma con un uso della melodia tutt'altro che scontato. Apre
l'album "These Are the Changes" con un ritornello evocativo
che ricorda le canzoni di protesta della fine degli anni sessanta,
infatti si parla di Vietnam e di pace. Il secondo pezzo è proprio
"Inside", in un suggestivo riarrangiamento che ne mantiene
la forza espressiva anche se mi sembra un po' meno potente dell'originale.
Non mi sembra una scelta felice l'inclusione di questa track in scaletta
e si potrebbero insinuare molte facili critiche a Ray, ma penso sia
più un errore di stampo narcisista, che non il frutto di una
manovra commerciale, comunque a parte il piacere che provo nel riascoltarla
sarebbe stato meglio non includere questa traccia. "How High"
è una ballata epica dove la voce roca di Wilson comunica tutta
la sua passione, un pezzo interessante. "The Fool in Me"
è un brano elettrico carico di rabbia, ma forse è un
po' troppo elaborato per essere efficace, gli inserti di fiati smorzano
la tensione invece di esaltarla. Seguono tre piacevoli ballate intimiste
che sono il terreno in cui attualmente Wilson da il meglio di se,
musica triste e introspettiva abbastanza personale. Con "Magic
Train" si torna a rockare, ma è la successiva "The
Actor" il vertice espressivo del disco, un brano autobiografico
dove Ray si mette a nudo e parla direttamente al cuore dell'ascoltatore,
musica triste, ma ricca di fascino. L'energia torna a scorrere in
"Pumpkinhead" prima della traccia omonima che conclude l'album
proponendo un mix degli elementi che compongono l'intero lavoro.
Ray ha dimostrato in passato di essere un artista di temperamento
e non gli manca certo una discreta vena compositiva, doti rare negli
artisti di oggi e spero che non sfuggano al grande pubblico. GB
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