Era un po’ che non ascoltavo gli OSC, il progetto portato avanti
dal visionario tastierista Scott Heller. Uno degli esempi migliori
di come un sogno ambizioso e profondamente utopico possa in realtà
diventare solidamente reale. Sono già diversi anni che questo
collettivo di musicisti ci regala grandi emozioni e le uscite discografiche,
più o meno ufficiali, non si contano più. Dominante
di ogni uscita è che si tratta di lunghe improvvisazioni strumentali
in chiave space rock e ogni volta con formazioni diverse, con elemento
comune appunto Scott.
Questo nuovo album si presenta subito bene con un artwork curato e
bello, doppio cd in digipack con libretto a poster e una scelta di
colori e immagini molto azzeccata, degna di questo progetto musicale.
Il primo cd contiene cinque brani, tre hanno la durata di una suite,
il primo “Ride to Walhalla” è enfatico, pomposo,
vero space rock epico. Il ritmo incalzante con ottime parti soliste,
supportate da una sezione ritmica adrenalinica. “Juggle the
Juice” è breve e sperimentale, dove si divertono i tastieristi,
i suoni di synth si sprecano ed è difficile immaginare uno
space rock più visionario di così. “Digestive
Raga” invece si rivolge all’oriente, il sitar da anni
è considerato un veicolo perfetto per i viaggi cosmici e anche
in questo caso non fallisce l’obiettivo. Brano molto rilassante
e onirico. Ma essendo lungo più di trenta minuti è difficile
raccontarne tutte le sfumature, l’unica pecca forse è
la linea di basso, che mi è parsa un po’ troppo ripetitiva.
“The Man From Wales” è forse il brano più
vicino ai maestri del genere, gli Hawkwind. Un altro bel trip. Il
primo cd si chiude con “Bon Voyage”, non credo che servano
molti commenti, se non che vengono aggiunte delle percussioni etniche,
che generano un’atmosfera dai sapori sciamanici e ancestrali.
Il secondo cd è composto solo da due lunghi brani, “Raga
For Jerry G” di oltre venti minuti e “20 Steps Towards
the Invisible Door” di oltre quarantacinque. Il primo sembra
essere dedicato a Garcia, indimenticato leader dei Grateful Dead,
la più grande jam band di tutti i tempi, i suoni sono orientali,
molto sognanti, poi, man mano che passano i minuti, il pezzo prende
sempre più quota. La chiusura è il perfetto esempio
di cosa sia lo space rock psichedelico, summa di tutto il genere,
dalla kosmiske musik al prog visionario degli Hawkwind, con qualcosa
anche di Gong e Ozric Tentacles.
Il ritorno in grande stile di questi freakettoni non può che
farmi piacere, una band fuori dalle mode e dai cliché, che
porta avanti controcorrente la propria eroica proposta musicale. GB
Altre recensioni: Oresund Space Collective;
It's All About Delay; The
Black Tomato;
Dead Man in Space; Dead
Man in Space
Interviste: 2007
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