La storia del rock non ci ha mai dato tanto in termini di space rock,
ciò nonostante questo termine risulta particolarmente evocativo
ed è diventato un vero e proprio genere con gli Hawkwind a
guidare tutto il movimento. Questa band si forma nel 2004 con musicisti
che provengono da vari gruppi della Danimarca e della Svezia, di qua
e di la dal ponte Oresund, e anche da altri musicisti a volte occasionali,
la formazione in questo senso è elastica e varia.
In pratica si tratta di una comunità di artisti che vogliono
suonare insieme delle lunghe jam sessions in totale libertà
espressiva, un esperimento molto interessante che mi ricorda anche
certe cose del nostro Paul Chain, in particolare quello del “Container
3000”. Nella loro carriera gli OSC hanno suonato dal funky alla
musica psichedelica, con un impianto jazzato e una particolare dedizione
per la musica cosmica, un mix di divagazioni alla Klaus Schulze e
di progressioni spaziali tipiche del genere. Il tutto sorretto da
una buona dose tecnica che conferisce spessore al prodotto. Quindi
non ci sono soluzioni banali, ma tanta musica suonata come si deve.
I sette brani proposti in questo cd sono mediamente molto lunghi e
difficili da descrivere in dettaglio. Sarebbe sempre e comunque una
forzatura, perché la musica degli OSC è totale libertà,
spesso molto freak e mal si addice a categorizzazioni. Ne deriva che
chi li vuole ascoltare deve predisporsi ad un viaggio onirico e visionario
come pochi altri. Un’esperienza metafisica che non può
lasciare indifferenti. GB
Altre recensioni: It's All About Delay;
The Black Tomato; Good
Planets Are Hard To Find; Dead Man in Space;
Different Creatures
Interviste: 2007
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