Mi fa sempre piacere ritrovare gli OSC, la formazione che meglio di
tutte ha saputo rivitalizzare lo space rock e che ha prodotto una
buona serie di cd, tutti di ottimo livello. Dischi strumentali, che
hanno la particolarità di essere interamente improvvisati.
Scott Heller, mente del progetto, ha guidato con grande efficacia
questa formazione molto freak, nelle vastità cosmiche che ci
sovrastano e ogni viaggio è diventato un’esperienza onirica
di rara efficacia.
Con gli anni gli OSC hanno affinato il proprio stile, sono cresciuti
riuscendo sempre a coinvolgerci con la loro formula (solo) apparentemente
tanto semplice, del buon space rock fatto di lunghe jam session molto
libere. Pensate che anche questo disco si apre con una composizione
di oltre trentadue minuti dal titolo esplicativo “High Pilots”,
il sintetizzatore fa la parte del leone, ma molto importante è
anche la sezione ritmica ipnotica, per non parlare delle chitarre,
che danno forza espressiva al tutto, si crea un mix magico, con un
viaggio che è più importante della meta, è sempre
così, ma con questa musica il concetto appare ancora più
chiaro che in altri contesti. Quasi come se non ci fosse interruzione
si passa al secondo brano “Who Tripped on the C(h)ord?”,
che è ancora più acido del precedente, i suoni sono
più morbidi e cosmici, il tempo si complica un po’, con
una sezione ritmica meno ipnotica e più vicina a certo jazz,
non a caso il brano successivo prende il titolo “Space Jazz
Jam 2.2”. La struttura si fa più complessa e articolata,
anche se le suggestioni vanno tutte nella stessa direzione, verso
l’ìnfinito… Infine “Dead Man in Space”
chiude questa nuova avventura con tre minuti di sperimentazioni e
voci filtrate, qualcosa di abbastanza cinematografico se volete, ma
che comunque ci sta bene.
Per me è molto bello che in questa epoca ci siano ancora musicisti
che fanno musica (e dischi) per il solo gusto di suonare, ben consapevoli
che non è musica che farà fare dei soldi e nemmeno che
darà loro grande notorietà, ma musica come questa fa
davvero bene a chi la ascolta e soprattutto la sa ascoltare. GB
Altre recensioni: Oresund Space Collective;
It's All About Delay; The
Black Tomato;
Dead Man in Space; Different
Creatures
Interviste: 2007
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