Terzo lavoro solista per l’ex Dream Theater Sherinian e, come
per il precedente Black Utopia, (ri)troviamo nuovamente una formidabile
parata di stesse al suo fianco: Simon Phillips, Zakk Wilde, Jerry
Goodman, Tony Franklin, Steve Lukather a cui si aggiungono i nuovi
arrivi Allan Holdsworth, John Sykes e Steve Stevens, più altri
nomi che non cito per non dilungarmi troppo. In particolare possiamo
notare che certe collaborazioni sono diventate durature e consolidate,
mentre quelle nuove sono alquanto eccitanti come quella con il geniale
Holdsworth, ma devo dire anche che non si tratta della solita parata
di stelle tanto per attirare l’attenzione del pubblico, perché
ogni musicista da il massimo per fare di Mythology un grande album.
Il guaio è che né nel promo, né nella bio viene
indicato chi suona cosa, per cui posso solo immaginare dove si collocano
i vari contributi.
Anche con questo nuovo lavoro siamo nei territori di un prog metal
ad alto tasso energetico con piccolissime concessioni a altri generi
musicali. L’introduttiva “Day of the Dead” ci chiarisce
subito le idee col suo riffing sulfureo veramente aggressivo, il duello
fra le tastiere e le chitarre è irresistibile, piacevole anche
la sezione centrale più tranquilla e più progressive
(non sono sicuro però che la scaletta presente sul promo corrisponda
a quella su cd, per cui non citerò più i titoli in seguito).
Meno interessanti sono i due brani strumentali successivi, sembrano
più che altro variazioni sul tema, sicuramente di gran classe,
ma non impedibili. A sorpresa al quarto brano troviamo dei ritmi latini
veramente insoliti per l’ambiente, il flamenco ci invita a pensare
più a Santana che alle gesta funamboliche dei gruppi metal,
ma va bene così. Nel pezzo successivo il nostro si misura col
blues e il chitarrista di turno fa venire i brividi. Da brivido il
violino di Goodman in un brano, che sembra incrociare la musica celtica
con la fusion, un gran bel brano. Prima del gran finale troviamo una
ballata notturna molto intimista, poca originalità, ma tanto
feeling. La conclusione è affidata ad un brano sabbathiano,
l’unico cantato del disco, con il vocalist che scimmiotta non
poco Ozzy, una traccia che ci riporta indietro di trent’anni
e ci fa immaginare cosa potevano essere i Blacks con un tastierista,
anche se la tastiera non è determinante nel rendere dark il
brano.
In chiusura voglio far notare, come è accaduto nell’album
precedente, che Derek non fa musica autocelebrativa, ma lascia ad
ogni musicista lo spazio necessario per fare un lavoro di squadra
e quindi sarebbe molto sbagliato definire Mythology come il disco
di un tastierista, perché è solo un gran bel disco di
heavy prog con dei musicisti eccellenti. GB
Altre recensioni: Black Utopia;
Blood of the Snake;
Molecular
Heinosity;
The Phoenix
Interviste: 2003; 2004
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