Il buon Arjen Lucassen ultimamente ha leggermente diradato le sue
uscite discografiche, che comunque sono già parecchie. Da quando
il nostro ha dato vita agli Ayreon ha mietuto consensi su consensi
e i suoi progetti hanno infiammato le fantasie degli appassionati
di tutto il globo, fra i quali c’ero anch’io, anche se
oggi provo la forte tentazione di dire qualcosa che potrebbe rivelarsi
molto impopolare e cioè che Arjen ha perso la vena creativa,
da qualche album a questa parte ha preso a ripetersi, a produrre dischi
di ottima qualità, ma tutti piuttosto uguali. Ho amato moltissimo
i suoi primi lavori, ma oggi fatico a riconoscere ancora la sua incredibile
vena creativa.
Il progetto Star One aveva debuttato nel 2002 con l’album Space
Metal, a cui è seguito il live album Live on Earth l’anno
successivo. Inizialmente il progetto si era prefissato di riportare
in auge lo space rock nato negli anni ’70, un idea che mi era
piaciuta subito e che speravo venisse sostenuta con maggior convinzione,
invece abbiamo dovuto aspettare otto anni per vederne il seguito,
ma quello che ascoltiamo oggi è semplicemente un album di heavy
metal, di space non c’è rimasto molto e per me questo
è un vero peccato. Ad aiutare Lucassen troviamo molti vecchi
amici, dallo storico bassista Peter Vink, al talentuoso drummer Ed
Warby, alle keys di Joost Van Der Broek, mentre dietro i microfoni
c’è la solita parata di stelle con Allen Russell, Damian
Wilson, Dan Swano, Floor Jansen e come special guest troviamo ancora
Tony Martin, Mike Andersson e Rodney Blaze.
Il disco apre con l’intro “Down the Rabbit Hole”,
che fa pensare alle avventure di Alice, il tappeto di tastiere è
molto cosmico ed epico, ma di intro si tratta. Il primo vero brano
è “Digital Rain”, un concentrato di metal epico,
con le ugole potenti di Russell e Wilson che lo fanno brillare, poi
ci sono delle buone idee melodiche affidate alle tastiere pompose,
sicuramente un ottimo brano. “Earth That Was” è
più cadenzata e sabbatiana, il riff è pesantissimo,
bandita ogni suggestione space, resta un metal abbastanza visionario,
ma che suona di già sentito. La title track offre un’insolita
melodia dal sapore orientale, comunque un brano che non colpisce come
dovrebbe e che perde il confronto con l’iniziale “Digital
Rain”, sulla lunga distanza risulta anche noiosetta. “Human
See, Human Do” mi ha dato l’impressione di essere un riempitivo,
una canzone senza una identità precisa, che propone un ritmo
veloce come un treno, ma con una linea melodica impersonale e svogliata.
“24 Hours” è nuovamente epica, quasi teatrale,
più atmosferica di quanto già ascoltato, e per certi
versi mi ha ricordato i Magnum, ma niente di eclatante. “Cassandra
Complex” ha delle buone idee, brano denso di mistero, non passerà
agli annali, ma almeno denota un certo impegno compositivo. “It’s
Alive, She’s Alive, We’re Alive” sembra volerci
riportare in ambito space, ma è solo un’illusione iniziale,
ben presto si sdandardizza e non decolla più. Chiude la lunga
“It All Ends Here”, che non cambia il giudizio complessivo
sul disco. L'unica componente che salva il disco è quella vocale,
la coppia Russell - Wilson vale da sola l'acquisto del cd, per il
resto è tutto molto deludente.
Questo disco può piacere a due categorie di persone, ai fans
più sfegatati, che ascoltano tutto senza spirito critico e
a chi non ha mai ascoltato i primi lavori di Lucassen. Io non appartengo
a nessuna di queste due categorie e quindi a me il disco non è
piaciuto, da Arjen mi aspetto di più, molto di più,
in passato ha dimostrato di saper fare ben altro e io sto ancora aspettando
che dimostri nuovamente tutto il suo potenziale. GB
Altre recensioni: Space Metal; Live
on Earth (CD); Live on Earth DVD
Interviste: 2002; 2003
Artisti correlati: Ambeon; Ayreon; Stream of Passion; Strange Hobby
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