A volte mi spiace che Tillison abbia rinunciato a portare avanti i
PO90, la sua prima band importante, perché facevano dell’ottima
musica, ma sembra aver trovato la sua vera dimensione con questi Tangent,
un gruppo che abbiamo già trattato molte volte sulle nostre
pagine, come molti di voi sapranno, una band che si è dedicata
ad un porg volutamente retrò, nostalgico, vintage, fatto alla
vecchia maniera per intenderci, una scelta di campo che paradossalmente
ha dato ragione a Tillison, perché coi PO90 faceva musica molto
più sperimentale e innovativa e non erano apprezzati, oggi
fa musica, ottima come sempre, più prevedibile e sicuramente
non innovativa ed ha ottenuto un discreto seguito con l’interesse
dei media, stranezze della vita.
Comunque i Tangent sono una macchina da studio, hanno già fatto
parecchi album, sinceramente ho perso il conto, esclusi i live questo
deve essere il sesto in otto anni, quasi un record per una band di
prog di questi anni. Se è vero che i Tangent non stanno inventando
niente, è anche vero che hanno sempre proposto grandi pagine
di musica, che non è mai stata scopiazzata, ma ha sempre tenuto
una giusta distanza dai classici, pur dimostrandone apertamente una
certa sudditanza. In altre parole Andy ha scelto di fare la musica
che gli piace di più e gli riesce anche bene. L’unica
eccezione per adesso sembra essere stato l’ottimo Not As Good
As the Book, che era più moderno.
I Tangent sono anche sinonimo di lunghe suite, talvolta molto epiche,
nel senso teatrali, così anche in questo album, che si compone
di cinque brani, troviamo lunghe scorribande all’insegna di
un ottimo rock romantico (qualcuno si ricorderà che una volta
il prog veniva chiamato così), dominato da splendide melodie
sorretto da partiture complesse e avventurose. In particolare vorrei
far notare l’importanza delle melodie, che nel prog non sono
sempre state al centro delle attenzioni compositive, non così
nei Tangent di Tillison, che ha sempre privilegiato la struttura armonica
dei suoi brani, rispetto alle espressioni tecniche e virtuose fini
a se stesse. Ma mi accorgo che non ho ancora parlato del concept sottostante
al disco, che è piuttosto interessante e verte sull’evoluzione
delle comunicazioni negli ultimi 100 anni, da quando è nato
il codice Morse per capirci e pone l’accento sul quante vite
sono state salvate grazie ai nuovi sistemi di comunicazione, che in
pratica è il tema dell’ultimo brano “Titanic Calls
Carpathia”. Poi c’è l’aspetto grafico che
vede il ritorno della collaborazione col sempre più bravo Ed
Unitsky, infine come non sottolineare che il disco esce in tre formati,
la versione normale, la “Special Edition” con due bonus
tracks e quella in vinile 180gr.
In altre parole possiamo avvicinarci con consolidata fiducia al nuovo
lavoro di Tillison e compagni. Non temete, siamo sempre nel mare sicuro
dell’ottimo prog d’autore. GB
Altre recensioni: The
Music That Died Alone; The World That We
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