Quando si parla degli Anathema la prudenza è dovuta, come anche
una certa attenzione, stiamo parlando di una delle band più
originali degli ultimi quindici anni, un gruppo che ha fatto scuola,
partiti da un metal estremo sono arrivati ad un prog rock altamente
sofisticato, anche se è vero che ultimamente sembrano aver
rallentato la loro corsa verso l’innovazione. Gli ultimi album
ruotavano pericolosamente attorno a se stessi, come satelliti appunto,
con strutture compositive che si assomigliavano pericolosamente.
Questo nuovo disco quindi è carico di aspettative e forse qualche
indicazione finalmente viene data. Possiamo idealmente dividere il
disco in due parti, con spartiacque un brano simbolico, dal titolo
inequivocabile “Anathema”. La prima parte del disco è
dominata da tre pezzi che portano tutti lo stesso titolo “The
Lost Song” e sembrano tutti legati alle ultime produzioni della
band, si pensi ad “Untochable”, classe ed eleganza non
mancano, ma si ha la netta sensazione che la band svolga il proprio
compito senza grande sforzo e senza grande impegno. “The Lost
Song Part 1” attacca con un ritmo incalzante che fa da contrasto
ad un cantato sognante e malinconico, pian piano il pezzo entra in
un crescendo perfetto, tutto è esteticamente ineccepibile,
ma è una formula fin troppo sfruttata dal gruppo. La “Part
2” è più riflessiva, con prevalente cantato femminile,
ma la linea melodica è molto simile, non manca il crescendo
e se non fosse che è la riedizione del solito tema, sarebbe
incantevole. Già meglio è “Dusk”, col suo
incedere tormentato, ma il concetto di fondo non cambia. “Ariel”
ha una poetica magica, delicata come un soffio, densa di una bellezza
struggente, con il pianoforte appena accennato, certo ci sanno fare.
La “Part 3” altro non è che una continuazione del
tema, alcune piccole variazioni, ma fondamentalmente siamo sempre
a parlare delle stesse cose. A sorpresa arriva il brano “Anathema”
posto nel centro del disco come uno spartiacque e sicuramente non
è stato messo li a caso, un giro ipnotico fa da tappeto al
un cantato sofferto, non ci sono spunti nuovi, ma troviamo tanto pathos,
summa di questo percorso che forse si potrebbe concludere qui.
A questo punto parte la seconda sezione del cd con “You’re
Not Alone”, da subito sembra di ascoltare un’altra band,
l’elettronica prende il sopravvento, unico segno di continuità
il solito crescendo, ma i suoni ora sono acidi e tutt’altro
che poetici, casomai ci troviamo catapultati in uno stato di alienazione
urbana. “Fire Light” sembra ambient, ci sono solo tastiere
calibrate con grande lentezza e solennità, quasi un intro per
la title track che è pure dominata dall’elettronica,
forse la nuova terra di conquista di questa band. Del brano si salva
soprattutto il ritornello, ma se parliamo di musica elettronica credo
ci siano già stati molti artisti che hanno fatto meraviglie
e qui, per quanto non manchi una certa suggestione, siamo piuttosto
lontani. La conclusiva “Take Shelter” mi è sembrata
quanto mai anonima, una cantilena soffusa che ha poco da dire, lancia
l’ormai abusato crescendo in chiave elettronica.
La prima parte del disco offre qualcosa di già edito e quindi
non posso fare i salti di gioia, ma anche per quanto riguarda la seconda
parte del disco il mio giudizio è piuttosto negativo, non tanto
perché la band ha voluto cambiare rotta, ci mancherebbe, ho
sempre apprezzato voglia di innovare e di sperimentare, ma mi sembra
che gli Anathema non abbiano saputo imprimere il loro carattere in
questi pezzi, riducendosi piuttosto a svolgere con indiscutibile classe
un compito fin troppo prevedibile nei risultati. GB
Altre recensioni: Hindsight; We're
Here Because We're Here; Falling Deeper;
Weather Systems; A
Sort of Homecoming;
The Optimist
Articoli: Anathema, il vero Prog Metal
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