Il genialaccio del metal non sta fermo un attimo ed eccolo nuovamente
far capolino con un nuovo album a nome DTP, che se escludiamo i due
box usciti, è il quinto in studio. Di Townsend vi abbiamo già
parlato, per cui passerei subito all’analisi del nuovo disco.
Epicloud si discosta sostanzialmente dai titoli precedenti, ormai
Devin ci ha abituati a repentini cambi di rotta, ma in fondo non cambia
proprio nulla, perché, scusate il paradosso, il cambiamento
è l’unica costante di Devin, in questo senso è
uno dei musicisti più aperti e sperimentali di questi anni,
anche se devo dire che non tutto quello che ha fatto mi ha convinto
e mi è piaciuto, però gli riconosco il pregio di essere
un artista che affronta sempre nuove sfide. Nonostante questo preambolo
in Epicloud Devin ha cercato di ritrovare la sua vena più melodica,
Epicloud è un inno alla vita.
Il disco parte con un brano che ricorda certi cori polifonici dei
Queen, per poi entrare in “True North”, con un canto incalzante
retto da melodie molto catchy, a metà fra gli Abba e certe
cose dei Kiss, mentre entra una sezione ritmica potente e cattiva,
che contrasta con le ficcanti melodie vocali, il brano in effetti
è tutto un incastro di parti metalliche e grandi melodie, Devin
qui esprime tutto il suo genio. “Lucky Animals” è
un brano ancora più visionario, con cori pazzeschi e un tessuto
metallico. Su tutto ci sono questi arrangiamenti molto ridondanti,
la musica è satura e si fatica quasi a discernere le singole
parti, quasi come se dietro ci fosse un’intera orchestra e un
coro, mentre molto probabilmente è tutto ottenuto con dei campionamenti.
Ogni brano di questo disco è retto da melodie seducenti come
in “Save Our Now”, c’è anche tanta tecnologia
sotto, mista ad una forma di spiritualità non facilmente comprensibile,
ma un brano dolce come “Divine” non lascia molti dubbi
in proposito. Anneke Van Giersbergen canta in molti momenti del disco
e conferisce un’aura incantata con la sua presenza significativa,
come in “Grace”. A volte la doppia cassa è davvero
ridondante, come in “More!”. In chiusura con “Angel”
si riprende il tema iniziale e questo disco ridondante si chiude lasciando
un po’ di stupore e un po’ di perplessità.
In questo disco Townsend ci ha stupiti, ha saputo dar vita a belle
melodie, anche se spesso le ha stravolte e ricomposte, quasi sempre
le ha innestate su tappeti sonori inusuali, quasi inadatti ed ha creato
qualcosa di veramente suggestivo, magari non sempre riuscito, ma sicuramente
molto originale. GB
Altre recensioni: Synchestra; Ziltoid
the Omniscent; Ki;
Deconstruction + Ghost;
Addicted; The
Retinal Circus
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