Torna con il quarto cd in studio uno dei miei gruppi prog preferiti
fra quelli usciti negli ultimi dieci anni. L’attesa era tanta
e dopo il capolavoro Think As A Mountain del 2003 mi chiedevo con
quale magia mi avrebbero saputo deliziare questi folli musicisti svedesi.
Il parto, come tradizione del gruppo, ha richiesto di pazientare qualche
anno ed ecco finalmente il risultato fra le mie avide mani. Già
la copertina del cd è più intrigante del solito, viene
abbandonata la vena “naturalista primitiva” e viene adottata
un’immagine più propriamente prog.
Anche il titolo è piuttosto bizzarro, quali sono le reali intenzioni
del gruppo con questo nuovo cd? Fin dalle prime note sembra tutto
abbastanza chiaro: i Ritual hanno voluto fare un classico prog album,
insomma meno futurista dei lavori precedenti e più legato alla
tradizione, ma è proprio così? In buona parte si, ma
con i Ritual le sorprese non mancano mai e la parte chitarristica
di “In the Wild” è strepitosa! Ma facciamo un passo
indietro, la title track suona un po’ Gentle Giant ed ecco che
sembra spiegato lo strano titolo del pezzo, è uno scherzo?
Forse, ma devo dire che a parte la sorpresa iniziale non l’ho
trovato un gran ché, anzi è proprio una mezza delusione.
“In the Wild” è una scarica di energia, un prog
molto duro e nervoso, ma al tempo stesso raffinato e ricco di sfumature,
poi c’è il torrenziale assolo di chitarra da non perdere.
“Late in November” è una ballad molto malinconica,
che sembra fare il verso a certa musica folk americana, questi ragazzi
sono sempre geniali. “The Groke” ha la drammaticità
di una marcia funebre, un canto lugubre e solenne, enfatizzato dall’abilità
del gruppo, per certi versi ricorda alcune cose degli Anekdoten. In
“Waiting Bridge” i nostri sembrano fare il verso ai Flower
Kings, mah? “A Dangerous Journey” è una classica
suite di oltre ventisei minuti, una piece talmente ricca che è
difficile farne un resoconto esaustivo, dico solo che ci sono momenti
meravigliosi che si alternano a cali di tono, ma nel complesso il
gruppo mostra tutta la propria abilità e confeziona un brano
di classico prog, fatto come si deve.
Che dire, il disco è molto, molto bello, ma è anche
meno ispirato del primo o del terzo, amche se è superiore al
secondo. Non ci sono brani indimenticabili come l’immensa “Infinite
Justice”, ma per i fans può bastare anche così.
Comunque per quante critiche si possano muovere, i Ritual restano
uno dei migliori gruppi prog in circolazione. GB
Altre recensioni: Ritual; Think
Like a Mountain; Superb Birth; Live;
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