Norlander
è uno dei tastieristi di nuova generazione più promettenti,
destinato a raccogliere l'eredità dei mostri sacri dello strumento
come Emerson, Wakeman e Lord. Le credenziali di Erik non sono una
mia fantasia, lo stesso Emerson aveva firmato le note sul primo album
Threshold, mentre per presentare questa nuova fatica si è scomodato
Wakeman, che fra l'altro scrive: "E' da molti anni che seguo
il lavoro di Norlander, egli possiede una personalità vitale
che porta il suo lavoro ad imporsi nel mondo della musica progressiva.".
La sua discografia è impressionante, escludendo le numerose
collaborazioni (quelle più importanti con Lucassen) si contano
tre album solisti, quattro coi Rocket Scientists e ben tredici (escludendo
le riedizioni e il best) con la moglie Lana Lane, per un totale di
venti album dal 1993 ad oggi, ma quello che conta è che la
qualità di questi albums è molto al di sopra della media,
il che rende il tutto ancora più impressionante.
Questo suo terzo lavoro solista è un'opera rock divisa in due
CD ricchi di ospiti illustri: alle vocals troviamo Kelly Keeling (MSG,
Blue Murder), Marc Boals (Malmsteen), Robert Soterboek (Ayreon) e
Donald Roeser (Blue Oyster Cult) che canta e suona la chitarra in
un brano, mentre gli altri axeman sono Neil Citron e Peer Verschuren
(Vengeance); al basso si alternano Tony Franklin e Don Schiff, infine,
Vinnie Appice, Gregg Bissonette e Virgil Donati (Planet X, Steve Vai)
si occupano della batteria. Questo imponente dispiego di forze non
corrisponde ad una mossa commerciale, perché Norlander ha da
sempre collaborato con molti artisti diversi, soprattutto in tempi
in cui queste collaborazioni non erano ancora di moda.
Music Machine si basa su un concept, la storia di Johnny America che
vive un'avventura fantascientifica nel mondo della musica. Certo non
è il caso di fare un track by track dovendo sintetizzare ben
ventuno brani per oltre cento minuti di musica sontuosa e visionaria.
Il gusto epico e sinfonico di Erik esplode fin dalla traccia omonima
e inizia un susseguirsi di brani piuttosto vari che vanno dal metal
più classico al prog settantiano, con un buon bilanciamento
fra i vari interventi degli artisti coinvolti nel senso che Erik non
cerca mai di prevalere o di imporsi, ma da bravo regista amalgama
i vari contributi per produrre un risultato il più completo
possibile. Il suo virtuosismo comunque è contagioso e bisogna
vederlo dal vivo per capire come sia in simbiosi con lo strumento
che suona (il singolare è riduttivo vista tutta la roba che
si porta appresso in tour). Personalmente mi è piaciuto molto
il brano "Lost Highway" con Donald Roeser, un blues lento
molto emozionante dove Donald canta con un'intensità inedita
e produce un solo memorabile. Il secondo CD mi sembra più scorrevole
del primo, ma tutto l'album, rispetto ai due lavori precedenti di
Erik, è molto meno immediato e tutt'altro che facile e necessita
di ripetuti ascolti per poterne cogliere tutte le sfumature, compito
tra l'altro che reputo molto piacevole.
Erik nel nostro paese vive ancora lo status di artista da culto, ma
è giunto il momento di riconoscerne i meriti su larga scala!
GB
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