C'era molta apprensione per il futuro degli Spock's Beard dopo l'uscita
dal gruppo del leader Neal Morse, un'assenza pesante per la carica
vitale e umana che il polistrumentista Neal ha sempre saputo imprimere
alla band. Sapevamo che il testimone alle vocals sarebbe passato al
drummer Nick D'Virgilio (anche lui polistrumentista), che già
si era fatto notare con il discreto album solista, ma sono convinto
che molti avessero temuto il peggio.
Questo settimo album in studio, quindi, è fondamentale per
capire come sarà il nuvo corso del famoso combo americano,
anche se bisognerà aspettare il prossimo album in studio per
avere la conferma che quanto qui ascoltato non si tratti solo di una
vampata o di vecchio materiale ripescato.
La band ha incassato il colpo e ha deciso di rimboccarsi le maniche
e di ripartire, Ryo si è sobbarcato di tutte le parti di tastiera,
mentre il songwriting è stato equamente diviso. Fin dall'attacco
del primo brano "Onomatopoeia" si avverte un certo sconcerto:
un riff metallico settantiano apre le danze, il ritmo è tirato
e aggressivo e Nick canta con passione. Superato lo stupore iniziale
si inizia ad apprezzare l'energia del brano, anche se non è
molto "progressivo". La successiva "The Bottom Line"
inizia ancora con un riff nervoso, ma Okumoto introduce un tappeto
di tastiere oniriche che ci dicono che il gruppo è ancora dedito
al prog, infatti come entra il cantato il brano si rilassa e diventa
solare, ma la track è piena di stacchi e le situazioni cambiano
repentinamente diventando ora drammatiche, ora epiche, ora sognanti.
"Feel Euphoria" è un brano atipico, inizia con un
giro secco di batteria e delle tastiere strane ed elettroniche, la
voce filtrata di Nick ci dice che siamo di fronte ad un brano sperimentale
e oscuro, sofferto, tutt'altro che euforico. "Shining Star"
è un brano solare, un po' banalotto, ma molto piacevole, di
certo non essenziale. "East of Eden, West of Memphis" è
un brano divertente, americano, non prog nel senso classico, ma mi
piace molto, in fondo negli anni '70 i grandi gruppi facevano anche
canzoni molto semplici ma comunque stupende. "Ghosts of Autumn"
è una ballad romantica e malinconica con un pregevole lavoro
di Okumoto, anche se il refrain del brano non mi piace molto, ma la
parte strumentale centrale salva il pezzo con la sua intensità
solenne e atmosferica. A questo punto dell'album troviamo la suite
"A Guy Named Sid" composta di sei parti, una composizione
messa apposta per dirci che lo spirito prog degli SB non si è
assolutamente assopito. L'intro è molto atmosferico con un
gran lavoro di tastiera. "Same Old Story" ricorda molto
i Deep Purple, un brano con un bel tiro. "Judge" è
uno dei momenti migliori della serie, brano nervoso con una grande
grinta. "Sid's Boys Choir" ricorda le melodie vocali di
"Gibberish". "Carry On" mette la parola fine ad
un album che farà discutere i fans.
Gli Spock's Beard sono cambiati in tutti i sensi e hanno dimostrato
di voler sperimentare e cercare strade nuove e questo è molto
positivo, per il resto trovo che il passato è passato e che
il nuovo album sia veramente bello e a me basta. GB
Altre recensioni: Snow; Don't
Try This at Home (DVD); The Light;
Octane; Spock's
Beard;
Gluttons for Punishment; X;
Brief Nocturnes and Dreamless Sleep
Live: 2014
Artisti correlati: Neal Morse; Ryo Okumoto; Nick D'Virgilio; Transatlantic
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