Gli Spock’s Beard del dopo Morse continuano imperterriti la
loro strada, come se nulla fosse mai cambiato, anche se tutti sanno
che non è proprio così, non che il gruppo da Feel Euphoria
in poi abbia fatto troppo rimpiangere il talento di Neal, ma a mio
parere non hanno più trovato una vera identità. Forse
proprio per questo hanno scelto di intitolare il nuovo disco, il nono
della loro discografia, semplicemente col loro nome, scelta bizzarra
e sicuramente discutibile.
Ad aprire il disco troviamo un brano che mi ha lasciato sconcertato,
“On a Perfect Day” suona come il vecchio prog settantiano,
un po’ King Crimson e un po’ Caravan, ascoltate il bridge
con le due chitarre acustiche e il flauto per capire, e mi sono detto
che il gruppo doveva essere impazzito per mettere come opener un brano
così ovvio e scontato, quasi commerciale, anche se è
ben confezionato. Ma la traccia seguente mi ha fatto ricredere, “Skeleton
at the Feast” è un brano strumentale molto heavy, con
un basso potente e dei tempi spaventosi in undici ottavi e il gruppo
si riscatta. La breve “It’s This Love” sembra uno
scherzo musicale, ma è sorretta da armonie e tempi molto complessi.
“All That’s Left” suona come una canzone pop, si
ricorda con facilità, ma non è così semplice
come sembra, nel complesso una bella traccia. La prima parte di “With
Your Kiss” rimane nei canoni di una canzone, ma mi dice molto
poco, verso la metà ci sono delle sperimentazioni interessanti,
ma che non catturano, poi parte una parte fra il tribale e l’hard
rock che non è poi così originale come il gruppo avrebbe
voluto. Si torna ad un prog più canonico con “Sometimes
They Stay,…”. Bella e solenne “The Slow Crash Landing
Man”, anche se un po’ prevedibile. “Wherever You
Stand” recupera in aggressività, con un cantato ai limiti
del funky metal. “Hereafter” è una ballad per piano
e voce che potrebbe essere uscita dal repertorio del Billy Joel più
intimista. A questo punto prende vita una suite in quattro parti,
che serve a recuperare il prog nel senso più classico, quello
che ha dato fama al gruppo americano, ma non so se basterà
ai fans più esigenti. Buono il finale affidato alla intensa
“Rearranged”.
Questo disco farà gridare al miracolo i fans più fedeli
(e sordi), mentre altri resteranno con l’amaro in bocca, si
tratta certamente di un buon disco, con tanta buona musica, ma dopo
averlo ascoltato varie volte io rimango fra la schiera dei delusi,
perché è un album dispersivo, che non mostra una vera
identità e non si sa nemmeno dove voglia parare, ha un po’
il sapore di un’opera incompiuta. Ora non resta che vedere cosa
ci riserverà il futuro di questi musicisti, ma io la vedo grigia.
GB
Altre recensioni: Snow; Don't
Try This at Home (DVD); Feel Euphoria;
The Light; Octane;
Gluttons for Punishment; X;
Brief Nocturnes and Dreamless Sleep
Live: 2014
Artisti correlati: Neal Morse; Ryo Okumoto; Nick D'Virgilio; Transatlantic
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