A tre anni di distanza dall’ultimo album Kremasta Nera, tornano
gli affascinanti Ataraxia con un album inciso per la francese Prikosnovénie,
una pausa di tempo piuttosto lunga per questi artisti che hanno sempre
saputo incantarci con le loro magie. Gli ultimi album e mini sono
stati tutti piuttosto diversi ed hanno abbracciato varie sonorità,
ora gotiche, ora fiabesche ed eteree, ma anche medievali, folk, world
music, fino ad arrivare al grand guignol col magistrale Paris Spleen.
Questo nuovo album, ad un primo ascolto, sembra un po’ la summa
del percorso artistico del gruppo, anche se musicalmente si dirige
verso un dark folk molto malinconico.
“Siquillat”, il brano di apertura, è la chiave
per accostarsi all’album, la delicatezza della chitarra di Vittorio
fa da contrasto alle tastiere solenni di Giovanni, coinvolgente l’apporto
delle percussioni di Riccardo, sempre meglio inserito nell’economia
della band, poi su tutto d’è la voce ammaliante di Francesca,
che cattura l’ascoltatore come un flauto magico e lo porta in
mondi fantastici. “Scarborough Fair” è più
spirituale, mentre la prima traccia era molto terrena, qui c’è
una ricerca della bellezza che fa subito pensare ai pittori preraffaeliti.
“Quintaluna” ha un incedere grave, tenebroso, le tastiere
creano un’atmosfera quasi cinematografica, che poi viene stemperata
nel prosiego del brano e la voce di Francesca sembra quasi portare
un raggio di luce nell’oscurità. Llyr vuol dire lira,
l’antico strumento sacro, che ricorda nella forma il collo dei
cigni, ecco spiegato l’artwork, buona parte del brano omonimo
è dominata dalla chitarra di Vandelli, una piece decisamente
poetica. “Elldamaar” è divisa in due parti, come
un’ideale divisoria fra tre parti del disco, la “part
1” è molto sciamanica, terrena, quasi rituale. Seguono
due brani, “Evnyssien” e “Klepsydra”, nel
primo è ancora protagonista la chitarra raffinata di Vittorio,
poi entra Francesca con un canto molto evocativo, la seconda è
molto ritmata e dà proprio una sensazione di tempo che scorre.
La seconda parte di “Elldamaar” è più tenebrosa
e riprende le tinte gotiche di apertura. “Payatry Mantra”
rievoca atmosfere orientali, infatti è un tradizionale dell’India,
sembra un brano liturgico, con Francesca nelle vesti di una sacerdotessa,
brano denso di mistero, volutamente ripetitivo. La conclusiva “Borea”
mi fa venire in mente gli elfi di Tolkien per il cantato, atmosfere
sognanti ed eteree, dolci come il canto delle sirene.
Questo nuovo album degli Ataraxia segue il filo logico della loro
ricercata discografia e, come molti loro lavori precedenti, richiede
attenzione e dedizione per essere accolto, un disco ricco e intenso,
che non mancherà di piacere ai fans di questa band, ma certamente
non adatto ad un pubblico superficiale, che ama ascoltare musiche
banali. GB
Altre recensioni: Suenos; Mon
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Intervista
Live reportage: 2001; 2007
Articolo: Ataraxia, una band italiana
pellegrina nel mondo
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