Grande
serata ieri sera all’Estragon di Bologna, locale un po’
piccolo per la verità e sicuramente Mr the Voice of Rock avrebbe
meritato ben altro contesto, ma i tempi sono quelli che sono e l’accoglienza
del pubblico è stata comunque degna.
L’onore di aprire le belligeranze è toccato al gruppo
newyorkese dei The Lizards, la cui fama è dovuta più
alla presenza di due ex di lusso che non per effettivi meriti artistici:
dietro alla batteria siedeva Bobby Rondinelli (di cui vi ricordo solo
Black Sabbath, Blue Oyster Cult e Rainbow, ma sono moltissimi i gruppi
in cui ha militato), mentre alla voce e tastiere c’era Mike
Di Meo (ex ugola dei riformati Riot). I Lizards sono un gruppo settantiano
con un look piuttosto bizzarro se non ridicolo, il chitarrista sembrava
uscito da un film di Scooby Doo, mentre il bassista aveva un pettinatura
pressoché identica a quella degli Sweet. Il repertorio dei
Lizards inizia con un trittico di canzoni hard blues che mi ha lasciato
piuttosto indifferente, una brutta versione di quanto hanno fatto
gruppi come gli Aerosmith et similia, poi il concerto ha subito una
svolta decisa con i nuovi brani. Dall’hard blues si è
passati ad un genere dark progressivo molto personale. La musica non
era particolarmente entusiasmante in se stessa, ma le composizioni
avevano il pregio di essere abbastanza originali, un po’ Black
Sabbath e un po’ Porcupine Tree, con esclusione di “Hyperspace”,
che era praticamente identica al brano “Buck’s Boogie”
dei BOC, pregevoli però gli inserti di armonica ad opera di
Randy Pratt. Ottimo e convincente, come sempre, il drumming di Bobby,
notevole anche il lavoro di basso di Pratt, mentre ho trovato poco
brillante il chitarrista Patrick Klein, molto efficace nella ritmica,
con un groove terribilmente settantiano, ma molto poco originale negli
assoli, scarsa tecnica e inventiva e inoltre gesticolava in modo spassoso.
La voce di Di Meo è bella e anche come tastierista si è
prodotto in un solo interessante. Il pubblico comunque ha risposto
con entusismo alla loro esibizione.
Ovviamente il piatto forte era rappresentato da Glenn Hughes. Salgono
sul palco il tastierista Kjell Haraldson, il batterista Thomas Broman
e il chitarrista JJ Marsh, poi un boato accoglie l’ugola più
passionale del circuito hard rock. Visti gli ultimi due titoli del
catalogo di Glenn (Soulfully Live e Soul Mover) mi aspettavo un concerto
soft, con grande spazio al repertorio più morbido e carico
di feeling del nostro, invece mi sono trovato una set list così
granitica da sbricolare anche i cuori più duri e sono andato
letteralmente in visibilio. Glenn attacca proprio con la nuova “Soul
Mover” tratta dall’ultimo album a cui fa seguire “Orion”,
ma vado letteralmente in estasi quando parte “Mistreated”
con il bellissimo intro di JJ Marsh, un brano che Glenn riesce a migliorare
di volta in volta. Il refrain stoppato di “Can’t Stop
the Flood” mi fa saltare dalla gioia, forse il brano più
bello dell’ultimo Hughes, ma le emozioni continuano con “Let
It Go” e “High Road”. A sorpresa Glenn rispolvera
la bellissima Medusa dal repertorio dei Trapeze. La voce di the “Voice
Of Rock” è più bella che mai e in tanti si chiedono
quale sia il segreto di tanta longevità!
Due sono stati i bis, una grandissima “Seventh Star” che
mi ha riempito il cuore di vera gioia e l’irresistibile “Burn”,
due brani per i quali ogni commento è davvero superfluo!
Glenn è uno spettacolo per le orecchie, per gli occhi e per
il cuore, Glenn incarna la passione fatta musica, Glenn è il
lato migliore del rock, Glenn grazie di esistere! GB
Interviste: 2002; 2005
Recensioni: Building the Machine, A
Soulful Christmas, Different Stages,
Soulfully Live,
Songs in the Key of Rock, Hughes
Turner Project, HTP Live in Tokyo; Freak
Flag Flyin'
Soul Mover; Music
for the Divine; Live in Australia;
F.U.N.K.
Altre recensioni: Fused;
Hughes Turner Project; Live
in Tokyo;
Wild Seed of Mother Earth
Sito Web
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