Abbiamo seguito da vicino le vicende dei Kaipa, in particolare dalla
loro rifondazione in poi, dieci anni e sei album, non male per un
gruppo che sembrava sepolto e dimenticato. Ma la cosa più importante
è che sono album belli e credibili, certo non destinati al
grande pubblico, perché solo un cultore del prog può
essere incuriosito da questa band, peccato e limite di questo genere,
che potrebbe essere apprezzato da molto più gente se non venisse
snobbato da quasi tutti i mass media.
Il primo brano “First Distraction” ci riporta alla tradizione
della band di unire il folk con il prog, l’incipit è
dato da un flauto magico, poi entra un ritmo sincopato decisamente
prog e in seguito riprende ancora la melodia iniziale, stavolta innestata
su questo tessuto più solido e nervoso, una buona partenza
strumentale. “Lightblue and Green” è molto più
prog, partenza folgorante con un stop and go da manuale, poi il cantante
Patrik Lundström (prestato dai bravissimi Ritual) ci delizia
con melodie davvero azzeccate, il brano è quasi una suite piuttosto
bella, che non brilla di originalità, ma piace per le sue melodie,
non mancano gli accenni folk, ma quelli più puramente prog
rock sono prevalenti. “Our Silent Ballroom Band” è
una suite di oltre venti minuti, l’apertura è affidata
alla voce suadente di Aleena Gibson, che mi ricorda vagamente quella
di Candice Night per dolcezza e intensità, inizio dolcissimo
seguito da una parte onirica, quasi psichedelica in cui rientra Patrick,
ma in seguito il tutto diventa un po’ prolisso, con buoni momenti
e altri meno coinvolgenti, da sottolineare il sempre spettacolare
Jonas Reingold (the Flower Kings, Karmakanic) al basso, che fa dei
numeri da brividi. L’amore per il folk emerge con forza nella
title track, che è cantata in lingua e sembra già un
classico del genere, il violino, la voce evocativa di Patrick, l’incedere
epico, tutto funziona a meraviglia. “Treasure House” è
invece una novità col suo incedere caraibico, un reggae solare,
che stona col resto del disco, ma ci sono delle belle idee e delle
belle linee melodiche, basta aprire la propria mente e lasciarsi andare,
comunque non manca qualche momento prog. “A Universe of Tinyness”
è un brano complesso, con una musicalità insolita, che
ricorda certe cose degli anni settanta, sicuramente non è il
solito brano. “The Crowned Hillsides” è molto bella,
quasi una suite ricca di partiture avventurose, con intrecci ritmici
ingegnosi. Finale in grande con la scoppiettante “Second Distration”.
Che vi piacciano o meno i Kaipa non credo proprio che dietro i loro
dischi si celino delle bieche manovre commerciali, piuttosto trovo
tanta passione per il prog, che non sempre viene adeguatamente corrisposta.
GB
Altre recensioni: Notes From the Past; Keyholder;
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Interviste: 2002; 2003;
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