Chi l’avrebbe mai pensato, i veterani Kaipa del funambolico
tastierista Hans Lundin, con oltre trentacinque anni di vita sulle
spalle, in questo 2010 hanno sfornato un vero gioiello di puro prog,
splendente e cristallino, una gemma che sembra fin troppo bella. Bisogna
rilevare che quest’anno sono ancora poche le uscite che si fanno
notare in ambito prog e questo titolo dei Kaipa arriva come la manna
e si candida ad essere uno dei dischi più belli dell’anno.
La formazione è orfana di Roine Stolt, che ultimamente sembra
aver ridotto di molto gli impegni extra Flower Kings, ed è
stato sostituito con Per Nilsson (Scar Symmetry), ma comunque gli
assi non mancano, ecco allora che ritroviamo il singer Patrik Lundström
(Ritual), il bassista extraordinaire Jonas Reingold (Flower Kings,
Karmakanic), il batterista Morgan Ågren (Zappa), a completamento
ci sono anche la vocalist Aleena Gibson, la violinista Elin Rubinsztein.
Una formazione ormai consolidata, con l’eccezione di Nilsson,
che ha dimostrato grandi risultati.
L’attacco con la title track non poteva essere più prog
di così, delle tastiere danno vita ad un classico motivetto,
inizialmente un po’ scontato, ma ecco che come entra tutta la
band il pezzo evolve verso un prog pieno di vita e di energia, di
ottimo spessore davvero, poi dopo una pausa per dare spazio al cantato
ecco che riparte la musica con ancora più entusiasmo e vitalità,
pura goduria per le orecchie, il finale del brano poi è tutto
in crescendo. “In the Heart of Her Own Magic Field” cita
il folk svedese, per poi diventare un brano molto lirico e solenne
e poi tornare ancora su tinte propriamente prog piuttosto personali.
“Electric Power Water Notes” inizia con un flauto e un’atmosfera
sognante che lanciano un solo di chitarra toccante e riuscito, ma
presto si trasforma e cambia continuamente fisionomia lungo gli oltre
diciassette minuti, che musica e che lavoro ritmico verso il finale,
sono scintille. “Folkia’s First Decision” è
un brano acustico di soli due minuti e mezzo, che ci sta bene dopo
il sontuoso banchetto della suite precedente. “The Words Are
Like Leaves” rispetto ai brani precedenti è un po’
più jazzy, con delle buone parti liriche, manca un po’
del brio iniziale, ma guadagna in spessore. Dopo le magie sin qui
ascoltate “Arcs of Sound” sembra quasi normale, ma è
comunque un brano divertente con alcune sperimentazioni sui suoni.
“Smoke From a Secret Source” è frizzante, ricca
di belle melodie. La conclusione è affidata alla poetica “The
Seven Oceans of Our Mind”, una ballata molto folk che aggiunge
un tocco di raffinata eleganza ad un disco già molto bello.
Per racchiudere in uno slogan questa recensione… trentacinque
anni e non sentirli, chi dovesse incotrare questa band per la prima
volta con questo titolo non penserebbe mai che i Kaipa hanno già
tutti questi anni sulle spalle, anche se della formazione originale
ormai è rimasto solo Lundin, ma questo in fondo non importa,
quello che conta è che riescano ancora ad emozionarci. GB
Altre recensioni: Notes From the Past; Keyholder;
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Interviste: 2002; 2003;
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