Certo i POS negli anni ci hanno abituati a grandi cambiamenti, i fans
questo lo sanno bene, anche se alcuni forse vorrebbero ancora un nuovo
Entropia o un nuovo The Perfect Element, ma dopo Be era abbastanza
evidente che ci sarebbero stati nuovi album che avrebbero potuto sorprenderci
e questo ultimo Road Salt One credo potrà sorprendere qualche
fan che non ama i cambiamenti. Come sapete l’attesa era stata
smorzata dall’uscita del mini Linoleum, ma di quel disco qui
troviamo solo la title track, il resto del repertorio è nuovo.
La traccia di apertura “No Way” è un torrido blues
dal piglio moderno, con Daniel che fornisce un’interpretazione
spettacolare, sofferta e come sempre ricca di pathos. Siamo molto
lontani dal metal, ma il carisma della band è intatto. Poi
verso il finale il brano abbandona la vena blues e diventa molto più
prog, crescendo in intensità. “She Likes to Hide”
ci riporta ad un blues, più lento e psichedelico, un brano
molto spirituale, desertico, Gildenlow e soci ci impegnano in un ascolto
attento e non superficiale, che regala più di un’emozione.
“Sisters” va ancora più in profondità coi
suoi tempi rallentati e pieni di malinconica poesia, l’andamento
è solenne e grave, sembra una marcia funebre, di una bellezza
glaciale che nel finale diventa un grido di dolore, è il mio
brano preferito di questo disco. “Of Dust” è ancora
più notturna e lenta, come una lenta discesa in un oblio, la
cadenza ricorda certe musiche da film tipo quelle scritte da Morricone
per i film di Leone. Il blues torna prepotente nella cadenzata “Tell
Me You Don’t Know”, ascoltando questo brano chi potrebbe
pensare che sono gli stessi musicisti di “! Foreword”.
Ma le sorprese non sono finite ed ecco la circense “Sleeping
Under the Stars”, una parentesi divertente.
Una pausa separa, come in un ideale Lp le prime sei traccie dalle
restanti sei, poi attacca la jazzata “Darkness of Mine”,
la partenza notturna è solo un alibi, ecco che il gruppo intermezza
le parti calme a sfuriate moderniste, ritroviamo qualcosa dei vecchi
POS. “Linoleum” la conosciamo già, col suo incedere
fortemente zeppeliniano, ma ci piace sempre riascoltarla, che finale
poi. “Curiosity” è abbastanza trascinante, anche
se parte lenta, con un testo che parla d’amore, ma il ritmo
si fa via via sempre più incalzante. “Where It Hurts”
ci riporta alle atmosfere magiche di “Sisters”, ma è
più spettrale e densa di mistero, discreto il crescendo finale,
anche se un po’ prevedibile. “Road Salt” parte lenta,
molto evocativa, quasi una ninna nanna, che ricorda vagamente "One"
degli U2. E come tutte le storie che finiscono come sono iniziate
ecco che torna il blues in “Innocence”, ovviamente non
è niente di convenzionale, anche se c’è ancora
qualcosa degli Zeppelin, ma sono solo pennellate, di fatto è
un brano di grande gusto, non facile, come non è mai facile
la musica di questi grandi artisti, ma questo disco, che forse dividerà
i fans, per me è davvero un gran lavoro.
In precendenza i POS hanno guardato più al futuro, con questo
Road Salt One invece hanno esplorato sonorità e stili degli
anni settanta, ma non suona come un’operazione nostalgica, perché
se c’è una cosa che non manca ai POS è la creatività
e questo disco è qui a dimostrarcelo. Oggi la band di Gildenlow
è più spirituale e notturna, sempre fortemente carismatica
e coinvolgente, non si può chiedere di più. GB
Altre recensioni: Be; Be,
Original Stage Production; Scarsick;
Ending Themes; Linoleum;
Road Salt Two; Falling
Home;
Remedy Lane Revisited;
The Passing Light of Day
Intervista
Live Report: 2005; 2013
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