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            Eccoci al secondo e conclusivo capitolo del concept Road Salt,i POS 
            sono tornati con questo nuovo album composto da dodici canzoni, che 
            in realtà è stato iniziato in contemporanea col precedente, 
            non a caso i due dischi hanno le stesse atmosfere, le stesse sonorità, 
            la stessa carica emotiva e si possono considerare a pieno titolo come 
            due facce della stessa medaglia. Non voglio ripetere le considerazioni 
            espresse nella precedente recensione, ci tengo solo a dire che valgono 
            anche per questa. Siamo quindi lontani dal metal degli esordi e c’è 
            una tensione settantina che pervade tutto il lavoro.
 
 Dopo un intro dal sapore orientale parte “Softly She Cries” 
            con dei ritmi stoppati e geometrie complesse, mi vien da pensare a 
            dei moderni Led Zeppelin, band già ricordata anche nell’album 
            precedente, più ancora “Conditioned”, ma quello 
            che colpisce di più è il carisma con cui questa band 
            propone questa musica, che suona autorevole, vintage e moderna al 
            tempo stesso. “Healing Now” porta con se vibrazioni folk, 
            anche in questo caso si possono scomodare paragoni illustri, ma è 
            proprio nei primi anni ’70 che potevi trovare dischi dove si 
            passava con disinvoltura da un robusto hard rock a ballate acustiche 
            molto dolci, il tutto con una naturalezza disarmante. “To the 
            Shoreline” è un brano delicato ed emozionale, molto diverso 
            dai precedenti, ma pur sempre coerente con la capacità visionaria 
            a cui i POS ci hanno abituati. “Eleven” torna a rockare 
            duro, ma è anche molto prog e psichedelica, una vera prova 
            di carattere.
 
 L’ideale secondo lato apre con l’introspettiva “1979”, 
            una partenza quasi sotto tono, ma che dimostra la grande libertà 
            dei nostri. Molto ricca “The Deeper Cut”, che piacerà 
            soprattutto ai loro fans più orientati al prog, con un finale 
            che diventa un grande grido di dolore a cui è difficile restare 
            indifferenti. Molto complessa anche “Mortar Grind”, che 
            porta l’album ad un crescendo di intensità sempre più 
            intrigante, l’urlo finale di Daniel è agghiacciante. 
            Su un percorso diverso “Through the Distance” ne segue 
            la scia, alternando momenti onirici a sfuriate metalliche. “The 
            Physics of Gridlock” è più lirica, ma ugualmente 
            complessa. “End Credits” chiude riprendendo il tema di 
            apertura, ma lo sviluppa un po’ di più.
 
 Daniel Gildenlow è riuscito ancora una volta ad emozionarci, 
            non c’è stato l’effetto sorpresa, ma è sempre 
            capace di produrre grande musica e gliene siamo davvero grati. GB
 
 Altre recensioni: Be; Be, 
            Original Stage Production; Scarsick; 
            Ending Themes; Linoleum;
 Road Salt One; Falling 
            Home; 
            Remedy Lane Revisited; 
            The Passing Light of Day
 
 Intervista
 
 Live Report: 2005; 2013
 
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