Rock Impressions
 

INTERVISTA A STEVEN WILSON 23/01/2013 (versione inglese)
di Giancarlo Bolther e Laura Medei


Per prima cosa, The Raven that refused to sing, il tuo terzo progetto solista. Puoi descriverci il processo creativo che c’è dietro?
Certo. L’idea era scrivere della musica da suonare specificamente con la mia attuale band, e questo è un processo creativo molto diverso da quello di Grace for Drowning o Insurgentes, i miei due primi album da solista. In quel caso avevo scritto senza avere in mente particolari musicisti, per cui prima ho composto la musica, poi ho trovato le persone che potevano suonarla. Stavolta sapevo esattamente quali musicisti avrebbero suonato, così ho potuto scrivere riferendomi precisamente alle loro personalità. Sapevo che erano in grado di suonare a un livello più alto di quanto mi sia mai capitato di pensare precedentemente e la cosa interessante, a proposito di questo, è stata che scrivendo l’album mi sono spinto a comporre musica a un livello più alto di quello che posso raggiungere io. Intendo dire che io questa musica non so suonarla, ma sapevo che sono in grado di suonarla loro. Una cosa è immaginare la musica, una cosa suonarla. In questo senso il processo creativo che ha portato a questo album è stato combinare la mia immaginazione con la loro abilità come musicisti. Un’esperienza diversa, per me. Non mi era mai capitato di scrivere musica a un livello che non potessi suonare io stesso, e questo ha reso il tutto molto stimolante.

Come hai scelto le sei storie per l’album?
Oh… Non lo so, credo... Bene, la prima cosa che ho fatto è stata scrivere storie brevi. Letteralmente si è trattato di storie più che di testi, storie sul modello dei racconti classici di fantasmi del secolo scorso, non come le moderne storie del soprannaturale ma più secondo la tradizione gotica. Ho scritto diverse storie brevi, più per divertimento in realtà, e nello stesso tempo stavo scrivendo la musica per l’album senza avere la minima idea di come sarebbero stati i testi. Il primo pezzo che ho scritto è Luminol, il secondo The Watchmaker. Entrambi i brani hanno passaggi puramente strumentali, per cui ho avuto l’’impressione di stare raccontando delle storie con la musica. I sei racconti sono ispirati da questa idea di storia gotica del soprannaturale. Per quanto riguarda il modo in cui le idea specifiche sono venute fuori... chi lo sa? Io non lo so. Le avrò rubate da qualche parte, non so dove...

Steven Wilson in Milan 2013

A volte la tua musica è molto oscura, gotica. Come mai sei così attratto da questi temi?
Perché ritengo che chiunque pensi al mondo in cui viviamo e ha curiosità di conoscerlo dovrà confrontarsi con l’evidenza che il mondo è un posto contorto. Devi poi combinare questo con il fatto che chi non è religioso - io non sono religioso - è affascinato, ossessionato, terrorizzato dall’idea di essere mortale. Il fatto che un giorno tutti smetteremo di esistere. Se non credi nell’aldilà, io non ci credo, questa è una croce davvero pesante da portarti dietro e misuri ogni cosa che fai nella vita con la consapevolezza di avere questo tempo per essere felice, questo tempo per trovare una persona con cui pensi di poter stare, e un sacco di gente non lo fa, non arriva mai al punto di dire: “Sono felice nella mia relazione, sono felice per il mio lavoro, sono soddisfatto, sono felice nella mia famiglia”. Capisci perché c’è tanta infelicità, e tristezza, e miseria. Io non sono quel tipo di persona. Naturalmente c’è qualcosa nella mia vita per cui non mi sento felice, non posso dire di essere completamente felice per ogni cosa. Ma per uno che è spaventato dalla propria mortalità, e dalla quantità di infelicità, di rimpianto, di perdita, che fa parte della vita di tutti, è difficile creare musica spensierata. Penso sia più naturale fare della musica triste come una specie di riflesso per gli altri, in modo che ci si rispecchino e sentano che non sono soli nel provare e sperimentare certe sensazioni. Quindi in un modo piuttosto perverso penso che la musica triste possa diventare un mezzo per farti sentire felice, o almeno meno solo nel mondo. L’ho sempre sentito. Sono sempre stato attratto dalla musica nichilista, malinconica. Non so spiegarlo meglio di così.

Hai detto che non sei religioso, però molta spiritualità viene fuori da quello che scrivi.
Sì, però penso che la spiritualità sia un’altra cosa. La religione è credere in una qualche specie di propaganda, se si vuole chiamarla così, o nelle favole. Io non sono credente, ma ritengo che ci sia qualcosa di implicitamente buono negli esseri umani. Non credo che gli uomini nascano malvagi. Penso invece che siano naturalmente gentili verso il prossimo, naturalmente empatici nei confronti del dolore e della sofferenza degli altri. Se non è così è perché qualche circostanza deve averli distolti. Credo che la gente sia per sua natura spirituale ed empatica. Ma non vedo relazioni tra questo e il nostro concetto di religione o di vita dopo la morte.

“Luminol” è stata eseguita dal vivo diversi mesi prima di essere incisa. Alla primissima esecuzione ti saresti aspettato che il pubblico la accogliesse con tanto calore?
No, è piaciuta veramente tanto. Ero piacevolmente sorpreso. Di solito quello che succede nei tour è che la gente vuole ascoltare brani del repertorio che già conosce, per cui quando dici: “ok, adesso suoneremo un pezzo nuovo”, la cosa non è accolta con entusiasmo. Questa volta in realtà… È probabile che alcune sere Luminol abbia addirittura avuto la risposta più grande di tutte, e questo è stato straordinario. Lo abbiamo preso come un segno buono, come un ottimo presagio per il disco nuovo.
Steven Wilson in Milan 2013

Durante I tuo spettacoli una parte importante hanno le sorprendenti immagini di Lasse Hoile, tuo collaboratore di vecchia data. In che modo riuscite a lavorare assieme quando si tratta di ideare I film che accompagnano i concerti?
Ho conosciuto Lasse perché era un mio fan, un fan con un grande talento. Mi ha mostrato i suoi lavori e mi sono piaciuti. In quel momento ho sentito che la sua arte in qualche modo sembrava avere le stesse caratteristiche della mia musica, la stessa ossessione, lo stesso tipo di qualità surreali. Sembrava un bel tributo alla musica. Per quanto riguarda gli spettacoli, quello che faccio con Lasse è sedermi con lui e spiegare I testi, quindi le immagini. Di solito commentiamo I film che abbiamo visto e che ci sono piaciuti, le scene che abbiamo visto e che ci sono piaciute, e usiamo questo materiale come punto di riferimento. Poi lui se ne va e prepara qualcosa da farmi vedere, dopo di che cominciamo a discuterne. È un modo per tentare di dare una interpretazione visiva alla musica.

Alcuni amanti del progressive ritengono che molti degli attuali artisti prog dovrebbero essere chiamati “regressive”, dal momento che non producono nulla di realmente nuovo. Tu sei uno dei pochi a venire considerato interessante e originale. Come vivi questa situazione?
Credo che la risposta sia semplice, ed è che io amo tutti i tipi di musica, non soltanto uno. Parte del problema per quanto riguarda le band di cui parli è che sono immobili nell’ascoltare e apprezzare un solo tipo di musica, il che rende impossibile non imitarlo, in qualche modo. Il fatto che io ascolti tipi così differenti di musica fa sì che io abbia tutta questa roba mescolata dentro di me. Questo è un disco abbastanza vecchia maniera, può essere definito progressive, ma nello stesso tempo credo che la mia personalità venga comunque fuori, così come emerge il fatto che io apprezzi tutto, dalla drone music al rumorismo giapponese, dalla musica elettronica al jazz. Sai, dicono che i grandi artisti sono quelli che rubano. Prendi i Beatles, i Led Zeppelin. Vedrai quanto hanno rubato. Solo che la loro musica suona come Beatles, Led Zeppelin, non suona come Robert Johnson, non suona come Willie Dixon, non suona come Chuck Berry. Se il tuo sound è abbastanza forte, se la tua personalità è abbastanza forte, anche se rubi la tua musica resta in qualche modo originale.

Steven Wilson in Milan 2013

Attualmente sei un punto di riferimento per le nuove generazioni prog. A che cosa credi sia dovuto? Molti giovani musicisti si ispirano a te, alla tua musica.
Beh, quando si è giovani è fondamentale avere figure a cui ispirarsi, nuovi eroi, nuovi dischi. Mi piacerebbe che alcuni di quelli che si ispirano a me creassero cose più interessanti. In realtà non vedo molto di interessante nel progressive moderno. Quando sono i tour mi arrivano CD ogni giorno, i fans me li fanno avere. Una delle cose peggiori che posso sentire è qualcosa tipo: “Steven, voglio darti il mio demo. Ascoltalo per favore, è realmente influenzato dalla tua musica, sembrano i Porcupine Tree, ti piacerà.” Ma no! Non mi piacerà. Perché dovrebbe piacermi se sembra roba dei Porcupine Tree? Non sarà certo buono come i Porcupine Tree, no? Perché deve piacermi! Penso che per loro questo tipo di processo mentale sia strano. Sai, quando avevo diciotto anni mi preoccupavo di fare musica che suonasse esattamente come quella dei Pink Floyd. Oggi sarebbe negativo, per me. Se sei un giovane musicista ti serve del tempo per lavorare sulle tue influenze e sviluppare un tuo stile personale. Non ho sentito molta musica progressive moderna che mi sembrasse interessante, devo dire.

Qual è la soddisfazione più grande che hai provato nella tua carriera musicale?
È una domanda impegnativa. Difficile individuare un particolare momento o evento… ma penso che la soddisfazione più grande nella mia carriera di musicista sia il fatto che sono ancora qui. Non sono mai sceso a compromessi, non ho mai dovuto fare musica per la ragione sbagliata. Forse agli inizi posso aver prodotto roba commerciale, ma devo dire che da quando faccio musica a modo mio non mi sono mai dovuto preoccupare di compiacere qualcun altro, o di essere commerciale, o di fare in modo che la mia musica passasse alla radio. E sono riuscito a farlo nel mondo della musica moderna. È decisamente difficile e non c’è molta gente che possa dire di aver fatto altrettanto. In definitiva credo che la mia più grande soddisfazione in ambito musicale sia potermi considerare indipendente e non dover preoccuparmi di cosa l’industria si aspetti da me.
Steven Wilson in Milan 2013

Tu hai lavorato con molti artisti durante gli anni. Che cosa ti porta a cercare la collaborazione di così tanti musicisti diversi?
Perché è divertente! Sai, uno dei vantaggi più grandi del mio lavoro, se posso chiamarlo lavoro, è che mi consente di incontrare gente, di viaggiare, di lavorare con un sacco di persone differenti, alcune delle quali diventano amici intimi. Probabilmente non capita spesso che si incontri il proprio partner o il proprio migliore amico nell’ambiente di lavoro. Più è la gente che incontro o con cui lavoro, più mi diverto, più bevo, più vado alle feste. Sempre per il fatto che amo molti tipi diversi di musica mi interessa lavorare con musicisti provenienti da paesi diversi, con stili musicali diversi. È qualcosa di stimolante, che ti mantiene vivo.

Tutti questi impegni possono sottrarre tempo ed energie dai tuoi progetti principali.
Non sono d’accordo. Credo che tutto quello che faccio si combini in modo positivo. Tuttavia hai ragione nel senso che io ovviamente non posso fare tutto. Ora sto facendo questo, il che significa che non sto facendo Blackfield, non sto facendo Porcupine Tree, non sto facendo No-Man. In questo senso dovrei riflettere adesso su quello che intendo fare. Ma suppongo di seguire I miei istinti. Faccio la musica che mi interessa di più, in ogni dato momento.

Avendo lavorato su così tanti album, ogni volta che ne devi creare uno nuovo ti risulta più facile o più difficile?
Più difficile. Lo diventa ogni volta di più. Tu capisci, la pagina bianca, in senso metaforico, è la cosa più terrificante che ci sia. Come puoi creare qualcosa dal niente? Qualcosa che fino a qualche minuto fa non c’era e adesso è qualcosa. Come fai un bambino dal niente? È davvero tanto tanto difficile. E mi risulta sempre più difficile per ogni nuovo album perché non voglio ripetere cose già fatte nel passato. Sarebbe noioso per me, noioso per I fans. Per questo cerco di fare cose sempre diverse e ogni volta è più difficile. Ovviamente lo è, perché più album fai e più elementi spunti dalla lista: “questo l’ho fatto, questo l’ho fatto, questo pure.” È proprio difficile.

A quale band tra quelle che hai amato da giovane sei ancora legato?
A parecchie. La musica che ho scoperto da piccolo, quella che per prima mi ha entusiasmato, resterà sempre una parte di me. Quando ero molto giovane c’erano tre gruppi, i King Crimson, I Pink Floyd, I Tangerine Dream, le mie tre band preferite. Io so che ogni volta che ascolto la loro musica il sentimento di calore c’è sempre. Poi gli Electric Light Orchestra, Jeff Lindon… Sono stato un fan accanito da piccolo. La musica degli Abba che ascoltavano I miei genitori. C’è molta musica che viene dalla mia infanzia. Preferisco dirti quella che è scomparsa dalla mia vita. Principalmente è quella che ascoltavo da ventenne. Non ha più significato per me. La musica che ho amato da bambino, all’epoca delle mie prime scoperte musicali, è tuttora molto speciale per me.
Steven Wilson in Milan 2013

Secondo te oggi quali sono I gruppi che suonano musica interessante?
Gli Opeth. Una band americana, gli Swans, conosci gli Swans? Sono una band fantastica. Un altro gruppo statunitense, gli Shearwater, dal Texas. Mi sono piaciuti molto. Questi tre. E che mi dici di te? Hai qualche band da raccomandare?

I Three di Joey Eppard. Hanno suonato con te e coi Porcupine Tree.
Oh I Three, sì, una band davvero buona.

Per quello che riguarda te come produttore di altri musicisti, puoi indicarci qualcuno dei gruppi con cui vorresti lavorare nel futuro?
intendi vecchie band o nuove?

Intendo le nuove.
No. No, davvero. La maggior parte di quelli con cui vorrei lavorare sono musicisti dei quali sono stato un ammiratore. Sai, mi piacerebbe lavorare coi Rush, con Scott Walker, con Neil Young. Sarebbe il brivido più grande lavorare con uno degli eroi della mia infanzia. Nuove band? Ti parlerò delle nuove band. Per me è difficile rimanere impressionato dalla nuova musica e le nuove band possono dare molto da fare a causa della loro inesperienza. Ho lavorato con alcune band giovani e con alcune che erano quasi nuove, ma il piacere più grande mi viene dal lavorare con artisti già affermati, con band esperte, come i King Crimson, i Jetrho Tull. In questo modo posso incontrare artisti di cui sono anche un fan. È davvero eccitante per me.
Steven Wilson in Milan 2013


Se ti chiedessi di paragonare la tua musica a un genere di film, quale credi che si adatterebbe di più?
Wow. Dipende dall’album, sai, perché ogni mio album è differente dagli altri. Probabilmente The Raven… mi vengono in mente certi film sul tipo dei racconti gotici del terrore, forse un film di David Lynch o qualcosa che non so bene, fammici pensare… Altra domanda?

Le sensazioni che vengono fuori dalla tua musica sono spesso desolate, oscure, e la solitudine e il senso di alienazione non mancano mai. Quali sono le più profonde paure che hai?
Come per molte persone, la mia paura più grande è l’idea della mia stessa morte, la mia mortalità. Sai che la gene mi chiama lavoro-dipendente, perché lavoro molto. Credo che parte di questo, parte di ciò che mi spinge e mi motiva, venga fuori dalla paura della mortalità, dall’idea che un giorno, presto, chissà quando nei prossimi cinquant’anni, io smetterò di esistere. Ci penso molto, ma naturalmente il pensiero è anche nella parte profonda della mia mente quando scrivo le canzoni. È anche nella tua testa, questo lo sai. La mia paura più profonda è quella di morire soffrendo. Spero tanto che la mia non sia una morte dolorosa. Non me la cavo bene col dolore. Non sono molto coraggioso. Anzi, sono una persona debole. Odio il dolore, non so soffrire. Spero solo di morire all’improvviso e senza accorgermene.

Ho l’impressione che tu abbia tentato di affrontare alcuni aspetti filosofici della vita. Intendi svegliare la gente sulla realtà che la circonda o questa è soltanto una tua personale riflessione?
Credo sia personale. Ossia, quando fai musica in qualche modo ti presti a fare da specchio. Alle persone che ti ascoltano non rifletti parte del mondo in cui vivono ma un’immagine di quello in cui vivi tu. Tu speri che la gente si identifichi con la tua prospettiva e il tuo punto di vista, ma nello stesso tempo stai facendo musica, musica pop, e la musica pop dovrebbe essere qualcosa con cui la gente si diverte. Non ti va di sentirti come se stessi dando dritte di politica. È una linea di equilibrio molto sottile. A me piace la musica piena di sentimento, che possa essere apprezzata sia intellettualmente sia spiritualmente. Non è facile. Non è una linea di equilibrio facile da gestire ma credo che la musica migliore debba avere quella combinazione di fattori.

Tutti passiamo momenti duri nella nostra vita. Ti va di raccontarci qualcuno dei tuoi?
Penso di averlo già fatto con la musica. Penso di averlo già fatto. Non parlo in modo specifico dei miei rapporti complicati, dei problemi con la mia famiglia, ma credo di averlo già fatto, se ascolti le miei canzoni. Ogni canzone che scrivo ha in sé elementi autobiografici, dettagli della mia vita. Se non facessi così non ci crederesti, ti sembrerebbe un falso.

L’ultima domanda. Se vuoi puoi chiudere l’intervista con qualcosa che vuoi dire. Una specie di messaggio per il pubblico italiano. Completa libertà.
A che stiamo parlando? Che cos’è il tuo, un giornale o un sito web?

Un sito web musicale.
Ok. Con l’Italia ho avuto sempre un rapporto speciale durante la mia carriera musicale, fin dagli inizi. È stato il primo posto dove i Porcupine Tree hanno suonato al di fuori del Regno Unito, e il primo in cui abbiamo scoperto di avere dei fans. Un’esperienza emozionate, davvero esaltante. Da sempre l’Italia è un posto speciale per me, così come sono speciali gli Italiani, che vorrei ringraziare per essere stati così incoraggianti in questi venti anni. Ecco perché non vedo l’ora di tornare a suonare in Italia. Dacci una mano a portare qualcuno dei tuoi lettori ai concerti.

Grazie Steven.
È un piacere.

Altre interviste: 2015

Recensioni: Insurgentes (dvd); Grace For Drowning; The Raven That Refused to Sing; Hand Cannot Erase; 4 1/2;
To the Bone; The Future Bites; The Harmony Codex

Live report: 2013; Pistoia 2013

Sito Web

Artisti correlati: Porcupine Tree; No-Man; Blackfield


Indietro all'elenco delle Interviste

| Home | Articoli | Interviste | Recensioni | News | Links | Art | Chi siamo | Live | FTC | Facebook | Born Again |