Vista l’escalation artistica di Mr Wilson, l’attenzione
per il suo nuovo lavoro è d’obbligo. Questo 4 ½
si preannuncia subito come un disco anomalo, il titolo sta a significare
che è a metà strada tra l’ultimo lavoro, Hand.
Cannot. Erase. e il prossimo, come se non si trattasse di un album
vero e proprio ed in effetti non lo è, perché contiene
solo (si fa per dire) sei brani per una durata complessiva di circa
trentasette minuti. Inoltre si tratta di brani “ripescati”,
quattro sono stati registrati durante la realizzazione del disco precedente,
uno durante quelle di The Raven e l’ultimo addirittura risale
ai Porcupine Tree. Quindi sembra essere un lavoro transitorio, magari
di quelli per sfamare gli appetiti dei fans più famelici.
In realtà fin dalle prime note di “My Book of Regrets”
si capisce che si tratta di musica che meritava di essere incisa e
resa disponibile. Il brano dura quasi dieci minuti, una suite in realtà,
con molti cambi d’atmosfera, puro prog della miglior specie,
ma quello che balza all’orecchio è la cura per i suoni,
l’intreccio dei singoli strumenti, la bravura dei vari musicisti
coinvolti. A questo proposito, siccome sono tutti dei grandi, li voglio
ricordare: Adam Holzman, Nick Beggs, Guthrie Govan, Dave Kilminster,
Craig Blundell, Marco Minnemann, Chad Wackerman, e Theo Travis. “Year
of the Plague” è un brano intimo, lento, notturno, dove
la tecnica lascia il posto alla poesia e all’emozione. Con “Happiness
3” si torna ad uno stile più riconoscibile, un prog esuberante
e solare, con un Wilson in forma smagliante, che mette voglia di muoversi.
La strumentale “Sunday Rain Sets In” ci riporta ad atmosfere
sognanti, lo stile è tra il jazzato e l’ambient, per
poi presentare una breve sfuriata Crimsoniana, ma ben presto ritorna
alla quiete iniziale. “Vermillioncore” è più
sperimentale, i suoni sono intriganti, mi piace questa voglia di percorrere
strade non proprio confortevoli e il risultato come sempre è
sopra le righe. Ecco finalmente “Don’t Hate Me”,
cantata con l’intensa Ninet Tayeb, i brividi scorrono copiosi
e credo sia difficile non lasciarsi coinvolgere dalla forza espressiva
di queste note, tutto il resto sono chiacchere.
Il disco manco a dirlo esce in diversi formati, dal vinile al cd al
blu ray con audio 5.1 e il brano “Lazarus” remixato sempre
in 5.1. Insomma anche i collezionisti hanno pane per i loro denti.
Si possono dire molte cose di questo disco, anche che è un
po’ furbetto se volete. Però è musica che si ascolta
volentieri, ma soprattutto che si ri-ascolta ancora più volentieri
ed è questo che alla fine che vale di più. GB
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Non posso certo parlare di nuovo album di Steven Wilson, in realtà
non è un disco ma un mini disco della durata poco più
di mezz’ora. In esso ci sono sei brani, che molti critici di
settore ho visto denominare “scarti” di altri album.
Non penso sia il termine giusto, non tanto per il valore delle canzoni
che possono piacere o meno a seconda dei gusti, ma perché ad
esempio un brano live non è lo scarto di nulla! Il brano in
questione è “Don’t Hate Me” dei suoi Porcupine
Tree (progetto al momento congelato), tratto dall’ottimo “Stupid
Dream” del 1999, qui cantato assieme all’israeliana Ninet
Tayeb. In verità la cantante non mi piace molto, brava per
intensità e una bella voce, ma il suo forzato gridolino di
“passione” mi disturba un poco, per chi legge e non ascolta
posso denominarlo “cigolìo”.
Ma veniamo alla carne. Solo il primo brano “My Book Of Regrets”
vale l’acquisto di questo disco! Esso è stato scritto
in due tempi, nel 2013 e nel 2015. La musica ricorda molto l’album
“The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)”,
non a caso proprio del 2013. Influenze crimsoniane e tutto quello
che oggi definiamo Post Prog. Sempre dalle stesse sessioni giunge
la riflessiva “Year Of The Plague”, qui l’artista
si funge da polistrumentista, e si fa accompagnare solo da Adam Holzman
al piano. Canzone d’atmosfera, come solitamente ci ha abituato,
da far sognare ad occhi aperti.
Dalle registrazioni dell’ultimo album “Hand. Cannot. Erase”
giungono due canzoni, la prima dal titolo “Happiness III”,
molto orecchiabile, forse troppo, nel senso che è formata da
strofe e ritornelli già usati in altri brani, tuttavia molto
bella, mentre la seconda si intitola “Sunday Rain Sets In”.
Questa canzone è nuovamente d’atmosfera, bello il mellotron
e comunque la melodia è oramai rodata, e potremmo definirla
alla Wilson. L’ultimo brano del 2013 si intitola “Vermillioncore”
e qui fuoriesce il lato più aggressivo dell’artista.
Rasoiate di chitarra e buoni giri di basso, fra King Crimson ed Opeth.
La ritmica serrata ricopre un ruolo fondamentale e da meraviglioso
sfoggio di se.
“4 1/2” è un album trascurabile della discografia
di Steven Wilson? Io non lo trascurerei, come dicevo prima almeno
per il brano di apertura, tuttavia se dei cinque album da studio devo
scartarne uno, logicamente scarterei questo. Anche lui intelligentemente
lo ha chiamato "4 1/2". Devo anche spendere parole di elogio
per la produzione? Vengono da se, oramai conoscete la qualità
a cui ci ha abituato.
Molti dicono che Wilson si deve prendere un momento di pausa, visto
il ritmo incessante di uscite, per me no, è in un momento di
grazia, lasciatelo stare, se non vi piace non comperatelo, il mondo
è pieno di dischi. Io in realtà mi sono preso anche
l’lp…per dire…. MS
Altre recensioni: Insurgentes; Grace
For Drowning; The Raven That Refused
to Sing;
Hand. Cannot. Erase.; To
the Bone; The Future Bites; The
Harmony Codex
Interviste: 2013;
2015
Live report: 2013; Pistoia
2013
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