Rock Impressions
 

INTERVISTA A STEVEN WILSON 30/03/2015 (versione inglese)
di Giancarlo Bolther e Laura Medei


GB. Ciao Steven! Questa è la nostra seconda intervista, ci siamo incontrati la prima volta sempre a Milano due anni fa, pochi giorni prima che iniziasse il tour di The Raven That Refused To Sing.
SW. Sì, mi ricordo di te.

GB. Wow, davvero? Forte! Ok. Cominciamo dal tuo nuovo album, Hand. Cannot. Erase. Puoi dirci qualcosa su come è nato? Dove hai preso l’ispirazione per farlo?
SW. Ok, l’ispirazione è venuta fuori da un fatto di cronaca successo realmente, hanno fatto anche un documentario. Era la storia di una giovane donna, si chiamava Joyce Carol Vincent, che un giorno è stata trovata morta nel suo appartamento di Londra. Circa dieci anni fa. La cosa tremenda è che il corpo è rimasto nascosto per più di due anni. Davvero scioccante. Ricordo di aver sentito la storia al telegiornale, ma non mi ci sono soffermato più di tanto in quanto davo per scontato che fosse una vecchietta sola. Credo che molti avrebbero pensato la stessa cosa. Quando invece ho visto il documentario mi sono reso conto che le circostanze erano proprio diverse. Joice non era una vecchietta, era una donna giovane, o relativamente giovane, verso la quarantina. Era una donna attraente, popolare. Con questo la storia è diventata ancora più scioccante. Era qualcosa che aveva a che vedere con la vita in una metropoli nel ventunesimo secolo. Una storia sulla facilità con cui si può scomparire alla vista. Specie se ti isoli volontariamente. In definitiva, se vivi in una città molto grande puoi diventare molto invisibile. Per cui alla fine la storia di Joice è diventata per me un po’ il simbolo di questo fenomeno moderno.

GB. I tuoi precedenti due album, Grace For Drowning and The Raven That Refused To Sing, sono stati acclamati come capolavori e in diverse classifiche li hanno premiati come “disco dell’anno”. Non deve essere stato facile tornare al lavoro dopo un successo simile. Hai mai avuto paura di ripeterti?
SW. Oh, mi fa sempre una gran paura. Penso addirittura che sia la mia paura più grande: mi metto a creare qualcosa e magari scopro che non è rimasto più niente da dire. Un incubo. In ogni modo penso che tutti quelli che fanno un lavoro creativo sentano la stessa cosa. Puoi essere un musicista, un regista, uno scrittore, non importa. La paura del foglio bianco. Tutti ce l’hanno. Guardi la pagina bianca e ti dici: ora con che la riempio? Come faccio a riempirla con qualcosa che non ho già fatto finora? Trovo davvero problematica l’idea di ripetermi. Sarebbe facilissimo fare sempre la stessa cosa. Ma se rivado a quando ho cominciato a pensare di fare il musicista, da ragazzino, gli artisti che ammiravo veramente, e non parlo solo di musicisti ma di artisti in generale, erano quelli che si reinventavano sempre facendo ogni volta qualcosa di diverso, a costo di rischiare la popolarità. Per loro era più importante progredire. Gente come Frank Zappa, Stanley Kubrik, David Bowie. Questi artisti si reinventano. Stavolta ho sentito che la pressione non era tanto fare meglio di prima, ma tentare di fare qualcosa di diverso.
Steven Wilson in Milan 2015

GB. Tante volte ti hanno chiesto se tornerai mai a suonare coi Porcupine Tree. Se fossi nei panni tuoi, con alle spalle una carriera come la tua, mi urterebbe sentirmelo chiedere. Tu che ne pensi?
SW. Se hai una carriera come la mia, parte del bello, in un certo senso, è che ci sono persone che ameranno sempre quello che hai fatto nel passato. È una cosa buona, sai. Molto simpatica. Dov’è che diventa... hai usato il termine “urtare”... bene, dov’è che diventa abbastanza irritante è trovare gente che si aspetta che tu non cambi mai, e qui torniamo alla tua domanda precedente. Per me è fondamentale sentire che sto progredendo. In effetti alcuni fans preferirebbero che facessi sempre lo stesso disco, sempre lo stesso, sempre lo stesso. Questo per me significa morte creativa. Per cui... che cosa ne penso, mi hai chiesto. Bene, questi dischi esistono, fanno parte del passato, sono contento che vi piacciano, continuate ad amarli, continuate a divertirvi con la mia musica di prima, io nel frattempo ho bisogno di altro. È bello che la gente apprezzi questi lavori, ma nello stesso tempo deve accettare che la vita va avanti. Voglio dire, io non sono religioso, non credo che ci sia qualcosa oltre questa vita, penso sia tutto qui, questa è l’unica opportunità che abbiamo. Abbiamo settanta, ottanta, novant’anni, o quelli che saranno, per fare quello che meglio possiamo con la nostra vita.

GB. Sai che vale lo stesso pure per i Cristiani? Anche se credono nella vita dopo la morte, è questa sulla terra l’unica possibilità che hanno per fare meglio che possono.
SW. Giusto, suppongo di sì. Penso però a quella gente che sopporta di vivere in una qualche forma di stasi, anche di infelicità. Sai che esistono un sacco di persone che giustificano situazioni infelici con l’idea che li aspetta qualcosa di meglio dopo morti. Io non ci credo. Per me sta tutto nel cercare un modo per essere felici e soddisfatti da vivi, e di riempire il più possibile la propria vita di felicità e di soddisfazione.

GB. L’isolamento è un tema ricorrente in molta della musica contemporanea, anche nella tua. Decine di album ne hanno parlato. Giusto per citarne qualcuno, Quadrophenia dei Who, The Wall dei Pink Floyd, forse anche Ok Computer dei Radiohead, o Kid A. Secondo te c’è un legame tra arte e isolamento? Può capitare che un artista si senta isolato proprio a causa di quello che fa?
SW. Credo ci sia qualcosa nell’essere un musicista che ti fa più attento riguardo a questo tema. Il fatto è che... Senti, io incontro tante persone, intendo i miei fans, incontro gente da un sacco di paesi diversi, di questo parlo molto spesso, cerco anche di esprimerlo attraverso il mio lavoro. In fondo un musicista è in una posizione curiosa: ci sono momenti della tua vita in cui sei completamente isolato, quando scrivi a casa tua. Poi ci sono momenti in cui suoni davanti a migliaia di persone tutte le sere, e vedi città diverse, paesi diversi, per cui ecco che hai tutti e due i lati della medaglia. E c’è qualcosa nel fatto di vivere viaggiando, negli hotel, nei pullman, sono cose che amplificano il senso di isolamento, di solitudine, anche se stai tra migliaia di persone. Qualcuno direbbe che non c’è un modo di sentirsi più soli che stare in mezzo a un palco di fronte a migliaia di persone, e io lo capisco. Viviamo anche in un tempo in cui la tecnologia sta cambiando il mondo a una tale velocità... Tu hai citato OK Computer. È un esempio appropriato. Solo che ha già diciotto anni e se parla della modernità si riferisce al mondo di quel tempo, che è completamente differente da quello in cui viviamo oggi, completamente differente. C’erano già sprazzi di cellulari e di internet, ma erano appena all’orizzonte, invece oggi queste cose dominano in modo totale tutti i momenti della nostra vita. Penso ci siano sempre modi diversi di trattare gli stessi soggetti.
Steven Wilson in Milan 2015

GB. A proposito del titolo dell’album... Significa qualcosa in particolare? Sembra un po’ misterioso. Quei tre punti poi...
SW. Certo, un significato ce l’ha, per me, ma non lo voglio dire. Perché se non lo dico resta misterioso. Credo proprio che se c’è una cosa davvero speciale nel pop e nel rock, quella cosa è la magia, il mistero. Non ti spiegano tutto. Quello che trovo davvero intrigante nella musica è che a volte la gente viene da me con interpretazioni dei miei testi che sono completamente diverse da quello che intendevo io, e non per questo meno valide. Interessante. Bè, avrei potuto intitolarlo La solitudine di vivere in una grande città, in fondo è di questo che parla, ma parla anche di molte altre cose, per cui ho pensato di scegliere un titolo che desse anche un’idea di mistero. Poi resta a chi ascolta interpretarlo.

GB. Qualcuno da qualche parte ha scritto di te che sei un “Uomo del rinascimento del rock ”. È un’etichetta di una certa importanza, non trovi? Come ti ci senti?
SW. Posso dire che, anche se non costantemente, faccio qualcosa molto vecchio stile. Il fatto è che il mio terreno di lavoro è un posto dal quale il mondo si è allontanato anni fa, lo sappiamo che il rock non ha più la forza che aveva prima. Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, ma anche nei primi Novanta, il grunge era molto di tendenza. Ma quella è stata forse l’ultima volta. Da allora in poi il rock è diventato un fatto di nicchia, come il jazz. Sì, penso stia andando nella stessa direzione. Ascolta, a me ancora piace, penso ancora che sia magico, e penso anche che ci siano persone che vogliono della musica rock orientata verso album intelligenti. Sono abbastanza deluso da molta della musica rock contemporanea che sento. Per questo vorrei continuare a garantire un’alternativa a quelle persone.

GB. Gli arrangiamenti vocali in questo album sono toccanti, davvero belli. Ricordano un po’ certi passaggi di Crosby Still Nash & Young e dei Gentle Giant. Ti ricordi quando è stato che ti sei interessato ai cori per la prima volta?
SW. Sì, con Brian Wilson. Mi piacciono molto Crosby Still Nash & Young ma è stato con Brian Wilson e i Beach Boys, ricordo che ascoltavo Pet Sounds, Smiley Smile, 20/20, Friends, Surf’s Up e sono rimasto incantato dagli arrangiamenti vocali. Da lì ho cominciato a fare esperimenti, verso la metà degli anni Novanta. C’è da dire una cosa importante: non sono stato mai abbastanza sicuro della mia voce. Ossia, ho una voce passabile, ma non è potente, così uno dei modi che ho trovato per farla sembrare più forte è iniziare a lavorare con il multitraccia, armonizzando e sovrapponendo la voce. L’ho fatto ascoltando artisti come Brian Wilson, i Beach Boys, Todd Rundgren, Crosby Still Nash & Young, questo genere di artisti.

Steven Wilson in Milan 2015

GB. Hai remixato alcuni tra i più begli album rock degli ultimi quattro decenni. La lista dei titoli è di tutto rispetto. Ma come funziona? Sono i gruppi a venire da te o sei tu a scegliere un disco e proporti al gruppo?
SW. Oh... Non parte mai da me. Che dire... Ascolta, ti dico come funziona di solito. La casa discografica viene da me con il catalogo, Universal o Sony o Warner o EMI Records, chiunque sia, a volte viene l’artista, oppure il gruppo. Di solito vengono da me e mi dicono: “Su che cosa saresti interessato a lavorare?” Per esempio lo scorso anno sono venuti quelli della Universal e mi hanno chiesto: “Ti va di fare qualcosa per noi? Che ti interesserebbe fare?” Ho guardato il catalogo e ho detto: “Mi piacerebbe fare Songs From A Big Chair dei Tears For Fears”. Insomma, funziona così, scelgo, dico “vorrei fare questo”, “vorrei fare quello.” Sono in una posizione fortunata, adesso, ho una buona fama, quindi sono loro che vengono da me. Qualche volta gli artisti, spesso i discografici, come è successo con la EMI, qualche anno fa, deve essere stato nel 2011. Mi pare fosse a proposito del 40° anniversario di Aqualung dei Jethro Tull. Volevano fare una edizione speciale per l’anniversario. Bè, sì... di solito viene qualcuno e... mhm... è complicato.

GB. Se mi ricordo bene, tu collezioni album oscuri degli anni Settanta, di band tipo... Still Life, Human Beast, gruppi molto dark prog. Mi sbaglio?

SW. Veramente no... Non ho mai sentito questa cosa. Dove l’hai letta?

GB. Ho visto qualcosa sul dvd di Insurgentes. In una scena c’eri tu in un negozio di dischi, mi sembrava che guardassi quel genere di album.
SW. Mi sa che ho capito a che ti riferisci. Sì, è vero, c’è una scena in Insurgentes col mio amico Michael degli Opeth. Si vede lui che guarda dei dischi, li tira fuori, ma non è in un negozio, quella è la sua collezione personale. Onestamente, non so molto di quel genere. È lui che ama quei dischi. Io anche colleziono dischi, vinili, cd, ma riguardano tutti i generi, tutti i generi, mi piace tutto, il rock, l’elettronica, il jazz oscuro, la noise music giapponese, il pop... Ecco, no, non sono così fissato.

GB. Un amico mio è stato a Londra alcune sere fa, al Troxi. Ha detto che alla fine del tuo spettacolo David Gilmour e Bono Vox erano in piedi con il pubblico e ti applaudivano. Che significa questo per te? Te lo saresti mai aspettato all’inizio della tua carriera?
SW. Questa è una delle cose più belle della mia carriera. Mi stimano non tanto gli altri gruppi della mia generazione quanto alcuni degli artisti che mi hanno ispirato agli inizi. È fantastico. È cominciato cinque o sei anni fa con Robert Fripp e i King Crimson. Mi sento molto fortunato a poter incontrare e lavorare con molti dei musicisti che mi hanno fatto desiderare di essere un musicista anche io. Sul serio, è fantastico, sì, incredibile.
Steven Wilson in Milan 2015


GB. Che relazione hai con la KeyScope? È tua?
SW. No, non è mia. Ho giusto raccomandato un paio di gruppi, ho raccomandato i Pineapple Thief qualche anno fa, ma hanno anche alcune band che proprio non mi piacciono. In ogni modo fanno un bel lavoro, molto importante, e mi pare siano riusciti a creare una buona identità per quell’etichetta. Non mi piacciono tutti i gruppi che hanno, ma di certo me ne piacciono molti.

GB. Ora un’ultima domanda sull’album. Dai testi si ha l’impressione che sia stato scritto da un punto di vista femminile.
SW. È vero, sì.

GB. Non è molto usuale. Ossia... non deve essere stato facile, credo. Che tipo di lavoro mentale hai dovuto fare per riuscirci?
SW. Bè, le sfide mi piacciono. Come ho detto prima, per me è una sfida riuscire a fare qualcosa di diverso ogni volta, e stavolta una delle sfide più grandi è stata calarmi nei panni della protagonista, una donna. Non so quanto mi sia riuscito, comunque ho mostrato il lavoro a diversi amici ed amiche... Poi penso che anche se stai scrivendo da un punto di vista femminile ci sono tante esperienze umane che possono essere condivise. Molte delle cose di cui parlo nel disco sono parte della mia vita, ricordi dell’infanzia, sono autobiografiche ma nello stesso tempo si adattano a qualunque bambino o ragazzino, maschio o femmina che sia. Il concetto di isolamento, di solitudine, la confusione dell’era tecnologica, internet e i suoi effetti sulla nostra vita, la nostalgia dell’infanzia, il rimpianto... Tutte queste cose sono universali, per cui non è rilevante se sei maschio o femmina. L’unica cosa che cambia credo sia la percezione che donne e uomini hanno delle stesse cose. Non so se ho fatto un buon lavoro, comunque sembra che le donne stiano rispondendo molto bene al disco!

GB. Eccoci qua, pare che abbiamo il tempo per un’ultima domanda. Ci diresti se hai qualcosa in programma da fare al termine del tour? Che so, un nuovo album? Una vacanza?
SW. Non so dirtelo. Considera che il tour che stiamo facendo durerà con buona probabilità fino a gennaio, febbraio, anche marzo dell’anno prossimo. Quindi probabilmente siamo all’inizio di un anno di tour. Segno buono. Vuol dire che c’è interesse adesso. Molto di più di prima. Ma questo significa pure che il tour si allungherà sempre di più, sempre di più. Medioriente, india, Giappone, Australia, andremo anche in America. Per un anno non avrò la possibilità di fare altro. Quindi non so dire quello che farò dopo. Spero che strada facendo mi venga un’idea.

GB. Grazie tantissime, Steven!
SW. Grazie a voi, divertitevi allo spettacolo stasera!
 
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Recensioni: Insurgentes (dvd); Grace For Drowning; The Raven That Refused to Sing; Hand Cannot Erase; 4 1/2;
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