Steven Wilson è uno degli artisti più completi del nostro
tempo, negli anni non ha sbagliato un colpo e non è un caso
se è diventato punto di riferimento per tantissimi altri giovani
(e non solo giovani) artisti. Il suo disco solista precedente era
un capolavoro, di quelli da non perdere assolutamente e c’era
molta attesa per questo suo nuovo sforzo creativo. Veniamo quindi
subito ad analizzare quanto contenuto in questo importante album,
il terzo solista, quindi un album particolarmente significativo. Merita
segnalare che Wilson si è circondato da mostri sacri del rock
a partire da Alan Parson, che ha coprodotto l’album insieme
a Steven e ha curato i suoni, inoltre ha suonato la chitarra in un
brano. Poi c’è il grande Theo Travis ai fiati e ci sono
molti altri nomi, forse meno noti, ma sono tutti grandi musicisti.
In apertura troviamo “Luminol”, che Wilson ha già
presentato live, raccogliendo molti consensi, “Luminol”
è un brano seriamente prog, di più è quello che
il prog “deve” essere e che spesso ha dimenticato di essere.
L’avvio è aggressivo, incalzante, potente, come i migliori
King Crimson, ma non è un’imitazione, piuttosto è
come la continuazione di una tradizione, i giri vorticosi di basso
e batteria sono entusiasmanti, mettono voglia di muoversi, su questi
si innestano tanti contributi, dal flauto e sax alle chitarre, dalle
keys al mellotron, è una cornucopia di emozioni, in oltre dodici
minuti Wilson da sfogo a tutta la sua creatività e il risultato
lascia profonde emozioni, anche quando a metà brano prende
il via una sezione intimista e delicata, più Floydiana, ma
sempre molto bella e ispirata. Quando il brano riprende quota, lo
fa con un nuovo giro armonico ritmico, più moderno e ancora
le emozioni prendono il sopravvento fra tensioni misteriche e grandi
aperture musicali. Gran finale garantito con un ottimo assolo di chitarra,
che brano grandioso. “Drive Home” è un brano intimista,
molto morbido e ci accarezza con le sue melodie sognanti, in apparenza
è semplice, ma è di una raffinatezza squisita, anche
in questo caso troviamo un assolo sorprendente, lo ritengo uno dei
più belli fra quelli reperibili nella vasta discografia Wilsoniana.
“Holy Drinker” ritorna al prog più energico del
primo brano, ma è decisamente diverso, arioso e imponente al
tempo stesso, splendido il giro di chitarra, poi ci sono partiture
molto sperimentali, coi fiati di Travis in libertà e sotto
una sezione ritmica infuocata, bella anche la parte cantata, il finale
poi è da apoteosi. “The Pin Drop” è una
canzone meno immediata delle precedenti e perde un po’ il confronto,
ma ci sono dei passaggi da manuale. “The Watchmaker” è
un brano lungo e ricco di parti molto diverse, sempre all’insegna
del prog più azzeccato, nel complesso rappresenta una continuità
con quanto ascoltato prima, ma è comunque come un buon tassello
a completamento di un puzzle coinvolgente. Chiude la title track,
un brano ispirato come pochi, l’inizio è lirico, carico
di poesia, Wilson ci mette una passione toccante, poi con un crescendo
misurato si arriva ad un bel finale appagante.
The Raven è un disco meno dark dei due precedenti e a discapito
del titolo è sicuramente meno gotico, ma Steven Wilson con
questo suo terzo disco ha fatto un bel passo avanti, non avevamo bisogno
di conferme, ma riscoprire la grandezza di questo artista fa comunque
bene e ascoltare The Raven That Refused to Sing è gioia per
le orecchie e anche per il cuore. GB
Altre recensioni: Insurgentes (dvd);
Grace For Drowning; Hand
Cannot Erase; 4 1/2;
To the Bone; The
Future Bites; The Harmony Codex
Interviste: 2013;
2015
Live report: 2013; Pistoia
2013
Sito Web
Artisti correlati: Porcupine Tree; No-Man; Blackfield
|